A PRANZO… ALL’OSPEDALE (di Claudio Tescari)

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Antico lebbrosario di San Lazzaro  (foto tratta dal sito  www.festivaldelmedioevo.it)

Il regime alimentare dei ricoverati in ospedale è oggi altamente calibrato sulla base delle patologie e del consumo calorico ridotto dei degenti. Ma la prescrizione di diete per i malati è una pratica che la medicina ha adottato da appena un paio di secoli. In precedenza, si riteneva che un’alimentazione abbondante fosse necessaria per combattere le malattie d’ogni tipo. E’ per questo che, dal ‘400 al ‘700, negli ospedali venivano serviti pasti in cui non mancavano le carni rosse ed abbondava il vino. Allora, però, l’ospitale era una struttura che assisteva principalmente i poveri, malati e non, un luogo di ricovero per stranieri di passaggio, pellegrini, invalidi, vedove, orfani e mendicanti. Il primitivo esempio fu rappresentato dall’attività dei Cavalieri di San Giovanni, ovvero l’Ordine degli “Ospitalieri”, che combatterono in Terra Santa e organizzarono le strutture d’accoglienza dei pellegrini a Gerusalemme. Scacciati dai Turchi, divennero prima i Cavalieri di Rodi, quindi i Cavalieri di Malta, dalle isole dove ebbe sede il loro Priorato. Ancora oggi il Sovrano Militare Ordine di Malta è promotore di attività sanitarie e di assistenza sociale.

Nel Medio Evo, le iniziative di ospitalità furono frutto della buona volontà di privati, di nobili e di alti prelati e soltanto dalla seconda metà del 400’ apparvero gli ospedali sostenuti dagli enti ecclesiastici (per orfani e bimbi abbandonati), dalle università di arti e mestieri (per le vedove e i lavoratori invalidi) e dalle nazioni. Infatti, coloro che vivevano lontani dal loro paese e ne avevano le possibilità economiche, organizzavano delle strutture atte ad ospitare i connazionali di passaggio ed a fornire l’eventuale assistenza sanitaria. In Roma aprirono gli ospedali dei Fiorentini, dei Milanesi, dei Francesi, dei Tedeschi, dei Catalani e Aragonesi, dei Castigliani e dei Portoghesi

Tutti i tipi di ospedali accettavano anche i poveri ed i mendicanti tra i loro ospiti, ma per un tempo limitato, generalmente tre giorni, come accade tuttora negli Ostelli della Gioventù. A Roma, nel ‘500 e nel ‘600, gli ospedali erano considerati di ottima qualità –lo rilevò perfino Martin Lutero- sia per il vitto che per l’abilità dei medici.

L’Urbe era un ottimo mercato per i medici di tutta Europa, così piena di vecchi nobili e di alti prelati anziani. Gli enti che gestivano gli ospedali, poi, avevano grosse proprietà fondiarie o immobiliari, dalle quali traevano notevoli redditi, e dato che i loro assistiti necessitavano di cure, potevano assicurare al medico una continuità di lavoro (e di reddito). Sebbene le regole di comportamento fossero molto rigide all’interno degli ospedali, molti poveri vi trascorrevano parte della settimana, per rifocillarsi, per poi cambiare ospedale la settimana successiva e così via a rotazione.

Dai libri contabili conservati, si possono conoscere i cibi che venivano serviti agli assistiti, le vivande del pranzo e della cena, quelle per i bambini e quelle per gli ammalati. A mezzogiorno, il piatto forte era la carne vaccina e quella di pecora, molto pane bianco, zuppe di farro, di lenticchie, di cicerchia, ma anche minestre di riso, che all’epoca era coltivato nel territorio di Salerno. Alla sera veniva distribuito formaggio o uova, pane e molta insalata. Il vino non mancava né a pranzo, né a cena, un boccale per tutti, comprese puerpere e bambini di ambo i sessi. Spesso alla sera veniva consumato il pan cotto, per riciclare gli avanzi di pane. Il brodo di gallina era riservato agli ammalati ed alle puerpere, come il prosciutto crudo. Dal ‘600, compaiono tra le pietanze i vermicelli, al posto della zuppa serale, ed il baccalà sostituisce le aringhe salate nei pasti del venerdì e delle vigilie. Il baccalà veniva importato dal Nuovo Mondo ed esattamente dall’isola di Terranova (Canada), dove il pescato era così abbondante che i commercianti Inglesi lo distribuivano in tutta Europa a prezzi talmente bassi da farlo diventare un cibo dei poveri. A causa della difficoltà nella conservazione, non viene mai distribuito il latte, neanche ai bambini e per i neonati ci si avvale delle balie. Tutto il latte prodotto dalle fattorie veniva utilizzato nella produzione di formaggi.

L’impegno economico degli enti che gestivano gli ospedali, col tempo, divenne molto oneroso rispetto alle rendite dell’agricoltura e degli immobili affittati, per cui solo i più solidi economicamente poterono proseguire la loro attività d’assistenza, anche accorpandosi e mettendo insieme le risorse, mentre molti altri dovettero ridimensionarsi e poi chiudere.

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