COME NASCE UNA COLLEZIONE IMMORTALE? LA STORIA DELL’ATTRAZIONE DEI REALI DI SPAGNA PER IL BELPAESE (di Omar Ebrahime e David Taglieri)

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Che il desiderio di bellezza abiti da sempre il cuore dell’uomo lo dimostra la storia stessa dell’arte figurativa; ma se si avesse ancora qualche dubbio in proposito l’ultima rassegna proposta dalle Scuderie del Quirinale a Roma, visitata da oltre 6000 persone, raccoglie in poco spazio capolavori di autentici geni mondiali, da Caravaggio a Bernini, senza dimenticare Guercino e Guido Reni (“Da Caravaggio a Bernini. Capolavori del Seicento italiano nelle Collezioni Reali di Spagna”).

Nello specifico, tema delle 60 opere della mostra sono i legami diplomatici e commerciali intercorsi fra la Spagna e l’Italia durante il diciasettesimo secolo che hanno portato – ben prima che si cominciasse anche solo lontanamente a pensare a un’unità dell’Europa – quella coesione culturale e spirituale maturata dall’albero delle comuni radici religiose dei due Paesi che si affacciano sul Mediterraneo.

Curata da Gonzalo Redin Michaus, l’esposizione mette in luce il collezionismo spagnolo dell’arte italiana ereditata dall’intuizione di Carlo V d’Asburgo nel Cinquecento (una data fondamentale resta la pace di Cateau Cambrèsis del 1559 che segna l’inizio del dominio politico iberico sulla nostra Penisola) e proseguita poi nella Casa reale ispanica anche nei decenni successivi come fiore all’occhiello della ‘politica di prestigio culturale’ giacché – praticamente dall’antichità, ancora prima del Medioevo – detenere opere d’arte italiana in Europa voleva dire universalmente ‘intendersi di bellezza’. Il patrimonio estetico degli Autori della Penisola italiana – racconta insomma la mostra nei suoi pannelli – veniva ricercato da Re e Prìncipi dei Paesi vicini alla stregua di un autentico tesoro inestimabile quale simbolo indiscusso non solo di evidente ricchezza materiale ma anche e soprattutto di riconosciuta intelligenza morale e di fine sensibilità umana.

Grazie ad alti dignitari e al diffuso collezionismo di ambasciatori e vicerè, l’importazione delle opere italiane in Spagna ed il loro ingresso nelle collezioni reali di Madrid (dal Museo del Prado all’Escorial) daranno vita così all’identificazione di un particolare ‘gusto spagnolo’ della bellezza figurativa classica e quindi progressivamente alla fondazione di una scuola nazionale locale che con le tele di Diego Velàzquez (1599-1660) giungerà più tardi in cima alla storia dell’arte europea. Non a caso le figure emblematiche di Caravaggio (di cui qui viene proposto, tra gli altri, il celebre “Salomè con la testa del Battista”) e Bernini (da non perdere il “Crocifisso” del Monastero di San Lorenzo) da due estremi temporali  ‘tirano le fila’ del gomitolo artistico che nel corso del tempo darà luogo alle correnti tanto del Naturalismo quanto del Barocco, il periodo che forse più di ogni altro segnerà in assoluto il trionfo dell’alleanza italo-ispanica nel campo delle Belle Arti.

Qui si vede bene come, molto prima dei Trattati e dei Codici di diritto, la lingua comune dell’Europa mediterranea – ma non solo mediterranea, dopotutto – sia stata la cultura generata dalla fede, così che si può senz’altro dire senza tema di smentita che gli artisti di questo periodo parlavano la stessa lingua: non perché gli italiani sapessero lo spagnolo, o gli spagnoli sapessero l’italiano, ma proprio perché – proprio non sapendolo – potevano creare un vocabolario comune riconoscibile dalle convinzioni comuni di entrambi a prescindere dall’origine geografica del singolo Autore. E’ stato questo particolare processo a fare sì che, con il tempo, gli studiosi di storia dell’arte coniassero l’espressione “buon gusto” che è poi passata – per estensione, anche nelle espressioni colloquiali – a designare tutto ciò che, derivato dall’arte figurativa classica o meno, rappresenta infine alla vista dello spettatore armonia, ordine e, naturalmente, vero senso della bellezza.      

                                                                 

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