DOPO PIAZZA SAN GIOVANNI (di Marco Invernizzi)

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imagesQuando sabato scorso sono arrivato sulla piazza San Giovanni alle 12,15 mi sono commosso vedendola già piena di famiglie, venute da molto lontano come testimoniavano i cartelli e gli stendardi con i nomi delle città di provenienza. Tantissimi bambini, che giocavano sotto il sole cocente (e poi anche durante il diluvio, senza troppo lamentarsi) ma sono stati gli anziani a colpirmi di più, perché sembravano incuranti del viaggio, della fatica, del disagio che poi sarebbe cresciuto nel corso di una giornata meteorologicamente complicata. Grandi nonni, che rappresentano la memoria come dice Papa Francesco, e che raccontavano ai nipoti la storia delle precedenti battaglie in nome della famiglia e della vita, contro il divorzio nel 1974, contro l’aborto  nel 1981 e, otto anni fa, contro i Dico dell’allora governo Prodi.

Ho capito in quel momento che la manifestazione era già riuscita.

Adesso la palla passa al Parlamento dove si fanno le leggi e qui purtroppo non siamo messi bene. L’iniziativa dell’on. Alessandro Pagano di unire i “Parlamentari per la famiglia” procede e il numero aumenta, e molti di quelli che hanno aderito a questa associazione fra parlamentari erano presenti sabato alla manifestazione. Ma le forze politiche in Parlamento sono quelle che sono. Comunque qualcosa si è messo in moto e non dobbiamo disperare: il ddl Scalfarotto è ancora fermo al Senato grazie alla protesta delle piazze e a pochi ma importanti interventi in Parlamento.

Comunque la manifestazione di sabato ha insegnato tante cose.

Intanto, per la prima volta, sono scese in piazza le famiglie, invitate da persone del laicato rappresentanti di alcuni movimenti e associazioni, neppure di tutti, senza bisogno di vescovi-pilota, come ha chiesto Papa Francesco. È una cosa importante, direi una svolta.

Poi dobbiamo riflettere sui contenuti della manifestazione. Sembrava a qualcuno che si volesse cancellare il fatto che l’obiettivo della discesa in piazza era il ddl Cirinná, che equipara il matrimonio gay a quello fra un uomo e una donna semplicemente chiamandolo unione civile. Non è stato così. Tutti gli interventi dal palco hanno confermato che questo rimane il primo obiettivo, a breve termine, della mobilitazione. Tuttavia la manifestazione è stata promossa soprattutto per difendere i figli dall’ideologia gender che viene diffusa nelle scuole. E questo è lungimirante, perché anche se il ddl Cirinná dovesse diventare legge dello Stato, la battaglia contro il gender dovrà continuare, essendo quest’ultimo la vera causa culturale che poi provoca il tentativo di legalizzare il matrimonio gay.

Infine, una precisazione importante. Nonostante le reazioni sguaiate e intolleranti dei responsabili delle comunità lgbt apparse sulla stampa dopo la manifestazione, che il sottosegretario Scalfarotto ha definito inaccettabile dando prova di una democraticità sostanziale, la manifestazione non era contro gli omosessuali, che sono persone portatrici di diritti naturali, personali e non matrimoniali. La manifestazione era diretta contro chi li usa per un progetto ideologico che ha come obiettivo quello di scardinare la famiglia dal fondamento della società e di mettere in discussione la stessa natura umana. La dottrina della Chiesa e il buon senso ci chiedono di volere il bene di queste persone e di mostrare loro l’enorme inganno di chi li lusinga per sfruttarli, non per aiutarli.

Adesso comincia un lavoro ancora più difficile. Si tratta di portare gli effetti benefici della mobilitazione di sabato all’interno delle proprie realtà, nelle parrocchie, nelle scuole, nei posti di lavoro. Si tratta di cercare di recuperare i movimenti e le associazioni che non erano presenti, di coltivare l’unità contro ogni divisione e di andare casa per casa, famiglia per famiglia, a raccontare la bellezza e l’unicità di questa comunità senza la quale la società si sfascia.

 

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