GIUDICI E GIUSTIZIA (di David Taglieri)

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Da un’inchiesta de il Messaggero di Roma del 18 aprile del 2017 a cura di Sara Menafra si apprende che il 72 per cento dei cittadini italiani è contrario ai magistrati in politica. Inoltre nel corso degli anni è notevolmente aumentata la disaffezione nei confronti dell’istituzione-magistratura.

Il cittadino si chiede soprattutto quali siano le motivazioni legate alla lentezza della giustizia, alla burocrazia eccessiva e all’ipergarantismo, che il più delle volte premia i delinquenti a discapito delle persone oneste.

Il CSM è titolare della potestà disciplinare: perché anomalie e ritardi talora non vengono sanzionati?

Come può il cittadino accettare che stupratori, assassini e persone che vivono da sempre di espedienti e inganni stiano nelle condizioni di semi-libertà?

Ci sono molti magistrati fuori ruolo, che optano per la vita politica senza che ne risenta il loro status, con libertà di riprendere le proprie funzioni a distanza di anni o lustri dall’ingresso in politica. Lo sottolinea addirittura un articolo del Fatto Quotidiano dello scorso anno.

In un’inchiesta de Il Tempo dell’agosto 2016, “Giustizia e carriere parallele: il fascino indiscreto della magistratura“, vengono citati 819 magistrati che almeno una volta hanno lasciato la toga, il più delle volte senza ricorrere ad un’aspettativa (e quindi con doppi stipendi); la loro assenza dalle aule giudiziarie è costata 4553 anni di lavoro. Immaginiamo un grande tornello dell’imponente macchina burocratica amministrativa con personaggi che con naturalezza passano dai tribunali alla politica e viceversa. Un certo Tonino Di Pietro si costruì un’aura di onestà e santità, vantando il suo passato nella Milano di Tangentopoli, come se questo costituisse un biglietto da visita per conoscere i meccanismi sani della politica ed una patente di trasparenza.

Basti leggere la biografia non autorizzata di Filippo Facci, giornalista di Libero e scrittore, per comprendere quante contraddizioni si celassero dietro all’ex toga e al suo movimento politico, poi scomparso.

Il 6 febbraio 2017 perfino il Presidente della Repubblica ha raccomandato ai giovani magistrati, che si accingevano ad indossare la toga, di non perdere mai di vista il senso dei propri limiti istituzionali.

Lo stesso Piercamillo D’Avigo, presidente dell’ANM, in un’intervista rilasciata al Fatto Quotidiano (2016), si è dichiarato contrario alla copertura di incarichi politici da parte di ex magistrati inadatti alla gestione della cosa pubblica.

Daniele Missaglia su il Giornale del 2 marzo 2017 afferma opportunamente che non è più il Parlamento – emanazione della volontà popolare – a dettare la legge, ma una certa magistratura che si è espansa ben oltre il proprio perimetro di riferimento.

In altri termini quello che non è possibile per legge diviene legittimo a colpi di sentenze.

E’ avvenuto – sempre quanto riportato da Missaglia – in Trentino, dove la Corte d’Appello di Trento ha riconosciuto all’interno dell’ordinamento italiano la piena legittimità di un provvedimento estero che statuiva il legame genitoriale fra due bambini venuti al mondo da una maternità surrogata ed il loro padre non genetico.

La magistratura si sostituisce così al potere legislativo; la magistratura si ritiene quasi investita dal diritto divino e si ritiene all’altezza di creare una nuova etica.

Il Giornale del 9 settembre del 2016 riporta una dichiarazione di Carlo Nordio, procuratore aggiunto di Venezia, il quale sostiene che ai magistrati la politica vada vietata. E riportiamo l’affermazione molto illuminante: ”Persino nei casi in cui un giudice entra in politica dopo essere andato in pensione, tutto quanto ha fatto da magistrato rischia di essere letto come strumentale rispetto al secondo tempo della sua vita pubblica, quello giocato nel campo della politica, appunto”.

Anche nel campo scientifico certe sentenze fanno discutere. In un editoriale del 21 aprile, Alessandro Sallusti, direttore del Giornale, ha commentato la recente sentenza del  tribunale di Ivrea, che ha riconosciuto le ragioni di un ex dipendente Telecom al quale era stato diagnosticato un tumore benigno al cervello in seguito ad attività lavorativa caratterizzata per  quindici anni dall’utilizzo prolungato del cellulare: “Io, ovviamente, non posso dire se ci sia un nesso causa-effetto, ma mi stupisce che possa stabilirlo un giudice di Ivrea quando la comunità scientifica internazionale ha fino ad ora escluso il nesso. E per di più mi inquieta che la sentenza si basi sul parere di un oscuro perito di Padova, per di più membro di un’associazione che si batte contro le onde elettromagnetiche’’.

Molti cittadini sono poi nauseati da una certa politicizzazione della giustizia, che è andata per decenni sotto le lenzuola di alcuni politici italiani (…), sempre che ci fosse da rovistare qualcosa di penalmente rilevante, sorvolando invece su altre situazioni che riguardavano una determinata compagine politica. Una sorta di sudditanza psicologica, metaforicamente parlando, simile ai favori di juventina memoria. Allo stesso tempo gli italiani hanno ritenuto illogico, dannoso ed insensato il sistema di garanzie riservato ai delinquenti incalliti e ai fuori legge.

La politica questi anni si è divisa fra garantisti e giustizialisti; noi ci auguriamo si possa addivenire presto ad una terza via dove convivano le migliori istanze dei due movimenti di pensiero. Utopico?

Preferiamo pensare che siamo la patria del diritto.

 

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