GLI INQUIETANTI PRIMATI DELLA CINA (Corriere del Giorno, 6 marzo 2011, pag. 30)

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I dati parlano chiaro. La Cina, con 1,3 miliardi di persone (cifra che rappresenta il 25% della popolazione mondiale) ha il 9% di crescita economica negli ultimi 25 anni e nello stesso periodo 300 milioni di persone sono uscite fuori dalla povertà; è il secondo maggiore importatore di petrolio e la prima produttrice di carbone, acciaio e cemento; concede prestiti all’ Africa in concorrenza con il Fondo Monetario Internazionale. La Cina non si limita a dare i soldi ma realizza le infrastrutture; in cambio, però, si fa pagare con le conces sioni minerarie, che rappresentano delle impagabili risorse strategiche per il futuro. Assicura l’evoluzione della propria tecnologia grazie ad una ferrea selezione universitaria (gli studenti migliori vanno a studiare all’estero: America, Australia, Gran Bretagna); dispone di enormi riserve auree e di valuta estera, superando in ciò il Giappone e la Russia. Gl i Stat i Uniti sono i maggiori importatori di prodotti cinesi. Nel 2008 e nel 2009 il surplus degli scambi nei confronti degli USA è stato rispettivamente di 268 e di 230 miliardi di dollari, mentre colossi americani, come per esempio l’IBM, sono stati acquistati da compagnie della Repubblica Popolare. Pechino controlla tutto ciò con 1,3 milioni di soldati, 1 milione di poliziotti, 20 milioni di appartenenti alla milizia popolare.

Frutto di una grande manovra finanziaria del Partito comunista cinese è la suddivisione dell’unica banca di Cina in varie filiali, in spietata concorrenza fra loro. Ma alla fine i soldi restano al Partito: la concorrenza è a beneficio del Partito.

I più ricchi Cinesi all’estero (quelli del cosiddetto “bordo del Pacifico”: 52 milioni) sono stati chiamati da Pechino per investire direttamente in Cina. Si tratta di grandi gruppi cinesi che si sono comprati tutto (in Malaysia, Indonesia, Hong Kong, ecc.). Così i primi a rientrare nella madrepatria sono stati i Cinesi di Hong Kong. Poi sono venuti i Cinesi delle Virgin Islands (paradiso fiscale), del Giappone, della Corea del Sud, degli Stati Uniti, del Cayman (altro paradiso fiscale); quelli di Taiwan.

Il Partito comunista si è rafforzato grazie a questo speciale connubio fra marxismo maoista – tuttora professato – e ip er-capitalismo. Il regime ha il sostegno di intellettuali, burocrazia, imprenditori, investitori stranieri: i nuovi ricchi!

E la classe media che fa? E’ silenziosa. Frutto della nuova direttiva del Partito tutta tesa all’arricchimento, dal 1993 al 2005 – l’epoca della grande svolta – vi sono stati 60 milioni di licenziamenti all’interno della classe operaia, mentre l’orario di lavoro settimanale – almeno quello ufficiale – oggi è di 44 ore. Niente sindacati: i centri di dissenso non possono diventare movimenti. Per non parlare, ovviamente, del rispetto dei diritti umani. Emblematica, a tal proposito, la sedia vuota del premio Nobel per la Pace, il dissidente cinese Liu Xiaobo, trattenuto in prigione lo scorso 10 dicembre 2010 dal regime di Pechino e dunque impedito a partecipare alla cerimonia di consegna del premio in programma ad Oslo.

Per misurare la Cina, insomma, non c’è solo la crescita del PIL. 

Nel “Global Peace Index” (un indicatore internazionale di “benessere totale”, impiegato da economisti e sociologi, che si basa su un set di 24 rivelatori statistici, che vanno dallo stato di guerra alla criminalità, dalle tensioni etniche o religiose all’insicurezza sociale, dal grado di democrazia all’istruzione e al benessere) la Cina occupa l’80° posizione, a fronte – per esempio – dell’Italia, che è al 40° posto.

Se è vero che il governo di Pechino ha cancellato il debito a 31 paesi (buona parte degli aiuti cinesi vanno in Africa), non è per beneficienza, ma è finalizzato a realizzare progetti con personale cinese (licenze di sfruttamento, buoni petroliferi, ecc.). Forte dei suoi nuovi primati in campo missilistico, per i prossimi anni (2020) anche la luna diventa uno degli obiettivi neo-coloniali della Cina.

Oltre a setacciare sul mercato mondiale quantitativi enormi di petrolio, la Cina oggi sta puntando sulle nuove risorse “verdi”. In particolare nel campo dell’energia termica solare le turbine che producono energia elettrica si servono di piccole quantità di minerali chiamati “terre rare”. La tecnologia per sfruttare le “terre rare” è emigrata verso la Cina, tanto che il gap tecnologico e commerciale nel campo di tale componentistica energetica ormai è difficilmente recuperabile dall’Occidente. La Cina ha il monopolio mondiale delle terre rare (il 97%), utilizzate pure nell’industria degli armamenti. Poiché la loro esportazione è ormai contingentata, la competitività della Repubblica Popolare è diventata non solo commerciale ma anche strategica e militare. 

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