IL FUTURO DELL’ALBANIA (di Marco Invernizzi)

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Viaggio di Papa Francesco in Albania: il viale di Tirana con le gigantografie dei 40 sacerdoti martiri del comunismo
Viaggio di Papa Francesco in Albania: il viale di Tirana con le gigantografie dei 40 sacerdoti martiri del comunismo

 L’Albania è un piccolo Paese con meno di tre milioni di abitanti, ma è il primo Paese europeo visitato da papa Francesco nel corso del suo pontificato. Egli stesso ha detto, tornando in aereo, che ha voluto dare un segnale, scegliendo di visitare un Paese periferico, povero, per decenni il primo e unico Stato del mondo in cui è stato proclamato l’ateismo dalla Costituzione e dove era proibito persino un segno di croce.

Certo verrà, il 25 novembre, il turno dell’Europa dei potenti, quando il vescovo di Roma visiterà, a Strasburgo, il Consiglio d’Europa e il Parlamento europeo, ma intanto ha voluto rendere omaggio a questo piccolo popolo, che tanto ha sofferto a causa della religione e della persecuzione che sia i cattolici, sia gli ortodossi e i musulmani hanno dovuto sopportare.

Questo popolo, ha detto il Papa, «dopo essere stato a lungo oppresso da un regime ateo e disumano, sta vivendo un’esperienza di pacifica convivenza tra le sue diverse componenti religiose». Su questo punto ha voluto insistere molto, ricordando come l’Albania non sia un Paese musulmano, nonostante i musulmani siano la maggioranza, ma europeo, perché europea è la cultura che permette oggi la convivenza fra le diverse religioni, europee sono le radici della storia che sta alle spalle degli albanesi.

Evidentemente, il Papa ha voluto indicare nella convivenza praticata in Albania l’alternativa all’imposizione della legge coranica imposta dai terroristi islamisti in Siria e in Iraq, ma anche alle legislazioni dei Paesi arabi che condannano le minoranze religiose all’irrilevanza, quando non alla persecuzione. Qualcosa del genere è stato il Libano, che in qualche modo rimane un mosaico di religioni diverse indicato dai Papi, in particolare da san Giovanni Paolo II, come un modello di convivenza.

Un Paese, l’Albania, come il Libano, nel quale la libertà religiosa non è una parola vuota, ma una verità profonda in nome della quale tanti albanesi hanno dato la vita.

Tra questi c’erano certamente i quaranta sacerdoti i cui volti erano rappresentati dalle gigantografie che accompagnavano il Pontefice nel grande viale di Tirana che ha percorso in automobile per arrivare nella piazza dedicata alla beata Madre Teresa di Calcutta, dove poi ha celebrato la Messa. È stato il loro sangue a fecondare la nuova Albania, che ha saputo uscire dal buio del regime comunista per imboccare la strada della riconciliazione e della collaborazione. Di questi quaranta testimoni della fede è in corso il processo canonico di beatificazione e il Pontefice ha invitato a guardare proprio a loro, perché «i martiri non sono degli sconfitti, ma dei vincitori: nella loro eroica testimonianza risplende l’onnipotenza di Dio che sempre consola il suo popolo, aprendo strade nuove e orizzonti di speranza».

Se quei tempi bui non ci sono più, se il comunismo ha cessato di vessare il popolo albanese, non per questo sono venuti meno i problemi, le difficoltà, le tentazioni, anche quelle pubbliche, sociali e ideologiche. Papa Francesco ha invitato tutti, in particolare i giovani, a guardarsi dal relativismo, che annacqua l’identità e impedisce ogni autentico dialogo con gli altri, ma ha anche messo in guardia dalle dipendenze che non rendono felici, dalla tirannia del danaro e del consumismo, insomma dai mali del nostro tempo postmoderno, così diverso dall’epoca delle ideologie e dei campi di concentramento.

«Sono stati anni bui» – ha detto il Santo Padre – «durante i quali è stata rasa al suolo la libertà religiosa ed era proibito credere in Dio, migliaia di chiese e moschee furono distrutte, trasformate in magazzini e cinema che propagavano l’ideologia marxista, i libri religiosi furono bruciati e ai genitori si proibì di mettere ai figli i nomi religiosi degli antenati. Il ricordo di questi eventi drammatici è essenziale per il futuro di un popolo». E il popolo albanese, così sorprendentemente giovane nella vecchia Europa, ha un futuro, nonostante il duro passato.

 

 

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