IL VALORE AGGIUNTO FILOSOFICO DI THIBON (di David Taglieri)

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Gustav Thibon (1903-2001)

C’è un luogo incontaminato dove il profilo intellettuale va di pari passo con quello fisico della fatica, prettamente legato al sudore della fronte ed al sacrificio dello sforzo e dell’impegno. È su quel sentiero così fertile e ameno che incontriamo la profondità ed il calore umano di Gustav Thibon (1903-2001), filosofo francese, il filosofo contadino. (“le philosophe-paysan“). Oggi c’è una fredda distinzione fra sfera interiore e quella esteriore, fra profilo culturale e quello più propriamente sportivo, diremmo con i termini odierni. Occidente ed oriente si sono divisi su quale dei due sia l’elemento centrale, nel rapporto con il creato invece corpo ed anima possono essere un’unica entità, che ragiona, si interroga, dialoga ed al contempo si muove, suda e fa lavorare braccia, mani e gambe.

Lo studio della vita e delle opere di Thibon induce a ripensare e rielaborare questa rigida dicotomia corpo-anima, trasformandola in un pensiero più aperto, reale e moderno, quello legato alla totalità dell’essere umano, della centralità della persona e delle potenzialità dell’individuo che si possono specificare e concretizzare sia sul piano fisico che su quello intellettuale. Certamente ognuno si dimostrerà differente in base a determinate prerogative ed inclinazioni, ma un’attività non esclude l’altra.

E soprattutto Thibon coniuga la filosofia con un approccio psicologico particolare incentrato sul rapporto uomo-natura, natura-uomo, dove l’uno non può fare a meno dell’altro. L’attività fisica aiuta quella intellettuale, lo sviluppo del cervello e delle sue risorse stimola a sua volta il corpo. Nella società occidentale odierna Thibon andrebbe letto e riletto almeno tre volte: la prima per entrare in confidenza ed empatia con l’autore e con la sua indole manuale ed intellettuale; la seconda per comprendere la base dei suoi ragionamenti dove si legano antropologia, filosofia, psicologia e teologia; la terza per far emergere dall’analisi del testo quanto l’interdisciplinarietà non solo metta in comunicazione tante branche diverse della  cultura e della scienza,   ma evidenzi anche   i minimi comun denominatori del sapere.

Thibon nasce  in una regione del Rodano Alpi da una famiglia composta da contadini ed  il suo rapporto con l’istruzione e la scuola non è ottimale; ma questo  rappresenta un comune destino dei grandi uomini, dei geni  e delle persone illuminate, che fin dalle fasi iniziali di approccio al sapere mal digeriscono eccessive schematizzazioni e regole che rientrano in un solo modulo di studio, lontane invece da una visuale aperta e a 360 gradi che garantisca di dominare e godersi il panorama della saggezza.

Un ruolo fondamentale per la sua conversione al cattolicesimo lo gioca la lettura di Jaques Maritain; nel 1931 l’incontro con lo stesso Maritain avviene in un clima di maturità raggiunta a livello intellettuale dal nostro filosofo, sempre pronto con umiltà a mettersi in discussione.

Gustave Thibon instaura anche un rapporto di amicizia basato sui comuni interessi intellettuali e di collaborazione professionale con Simone Weil, la pensatrice divenuta celebre e riconosciuta geniale a livello mondiale, grazie alla stima tributatagli dallo stesso scrittore.

Il pensatore francese non si definisce nelle sue opere un autodidatta, ma un appassionato di inchiostro su pagine bianche; considera i libri come degli amici e soprattutto dei maestri, dei veri maestri che restano lì nella biblioteca ad aspettarci, pronti in ogni momento ad essere sfogliati, inquilini che non tradiscono mai. La sua filosofia ricerca la verità, che non sia però giudicante, ma analizzi tutte le obiezioni e le contrarietà che si trovano sul percorso che conduce all’indagine del reale.

Egli, costantemente e continuamente, tenta di stigmatizzare la religione della Modernità, opponendosi a chi l’accetta come un dato incontrovertibile. Il lavoro nei campi darebbe la possibilità anche oggi, come ieri, di recuperare il contatto con l’aria aperta, il controllo del respiro, la natura, gli odori e quel lato selvatico che fa parte di noi, che è dentro il nostro Dna, perché aneliamo a questa necessità e perché nei nostri antenati il lato naturale era ben saldo. Inoltre la visione, il profumo ed i rumori (o meglio i silenzi) provenienti dalle campagne, dalle montagne e dai mari rappresentano cibo per la nostra mente, ci avvicinano alla grandezza del progetto assoluto.

La fatica nei campi insegna, secondo Thibon, a porsi degli interrogativi sul tempo, sullo spazio e su ciò che ci circonda e a tornare a vivere il rapporto uomo-natura messo in crisi oggi dalla società della velocità, della quantità e del fracasso.

Il filosofo studia all’aria aperta, lavora, si immerge nella natura per riscoprirne la maternità, il valore e la purezza.

La sua ricerca interminabile del lato selvatico dell’uomo e della sua simbiosi con il contesto naturale rappresentano al meglio la sua vita fatta di campi, idee, filosofia e lavoro fisico ed intellettuale.

La scoperta delle sue opere, una su tutte “Ritorno al Reale, ci inviterebbe oggi a sospendere il collegamento almeno per un pomeriggio con i telefonini e con internet, per connetterci con qualcosa di più grande, ascoltare il nostro respiro, dare il giusto valore al silenzio, che a volte, come diceva qualcuno, è la miglior sinfonia.

L’attualità di Thibon a nostro avviso è rappresentata dal messaggio che garbatamente e delicatamente ci trasmette con il suo sapere: la ricerca di un equilibrio il più possibile reale e naturale fra sfera esteriore e pianeta interiore.

David Taglieri

 

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