L’EUROPA E LA CRISI MEDIORIENTALE SECONDO BAT YE’OR (di Omar Ebrahime)

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BatYeor
Bat Ye’Or, giornalista e scrittrice

E’ stata la prima a coniare la famosa espressione “Eurabia”, in un’intervista per un giornale francese del 2002, più avanti ripresa nel titolo di un saggio tradotto con successo anche in Italia (Eurabia. Come l’Europa è diventata anticristiana, antioccidentale, antiamericana, antisemita, Lindau, Torino 2007, Pp. 416, Euro 26,00) e quindi rilanciata a loro volta sui principali mass-media internazionali soprattutto dallo storico britannico Niall Ferguson e da Oriana Fallaci: a seguito degli ultimi fatti legati all’esplosione del terrorismo in Europa, Bat Ye’or in questi giorni è tornata in Italia per una serie di conferenze e per approfondire dal vivo i numerosi spunti dei suoi libri più discussi. Nell’ultimo incontro svoltosi a Roma martedì 17 marzo 2015, la studiosa ebraica, di origine egiziana ma naturalizzata britannica, ha spiegato che quella a cui assistiamo oggi è solo l’ultima parte di una storia cominciata secoli addietro: almeno dalla battaglia di Lepanto (1571), se non si vuole andare ancora più indietro fino alla conquista della penisola iberica nel Medioevo. Oggi fanno eco sulla stampa gli ultimi proclami lanciati dai terroristi sulla conquista di Roma e persino di San Pietro ma in realtà – ha osservato Ye’or – si tratta di una volontà di conquista affatto nuova e anzi plurisecolare. Da sempre il cosiddetto ‘jihad’, infatti, ha almeno due interpretazioni che se divergono nelle modalità attuative coincidono comunque nello scopo finale: una direttamente bellica e militare che tende a legittimare il ricorso alla via armata chiamando in causa Dio, e una più ‘soft’ che si può constatare nella conquista del territorio per via più pacifica con l’immigrazione o la crescita demografica in loco. In ogni caso, è un fatto che la presenza islamica in Europa oggi conti più di venti milioni di persone (il numero non comprende qui i clandestini evidentemente) di cui un milione e mezzo in Italia, Cifre, insomma, obiettivamente importanti che pongono sfide assolutamente inedite nell’età segnata dalla globalizzazione delle culture che stiamo attraversando dopo la fine della Guerra Fredda (1945-1989) e l’implosione dell’ex Unione Sovietica (1991).

Ye’or ha poi concentrato la sua attenzione soprattutto sulla storia dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica (l’OCI, fondata a Rabat con il nome di Organizzazione della Conferenza Islamica, nel 1969) che raccoglie al suo interno cinquantasette Paesi mussulmani – compreso lo Stato Palestinese – in  rappresentanza di oltre un miliardo di fedeli e della tutela dei loro interessi a livello internazionale. L’OCI può vantare tuttora una delegazione permanente presso le Nazioni Unite. E’ infatti soprattutto attraverso i suoi accordi economici e commerciali e le sue prese di posizione a livello geopolitico che l’organizzazione negli ultimi decenni ha visto progressivamente allargarsi la sua sfera d’azione e d’influenza arrivando a incidere in modo notevole su molteplici accordi bilaterali riguardanti – tra l’altro – i temi dell’energia e delle risorse petrolifere come anche quelli legati all’immigrazione verso i paesi occidentali. Lungi dall’esprimere prese di posizione unilaterali, tuttavia, la studiosa ha anche sottolineato le colpe interne e la complicità materiale dell’Europa – accusata di praticare lo ‘spirito di Monaco’, con riferimento all’ignavia dei governanti europei degli anni Trenta verso il Terzo Reich – nella crescita della politica espansionistica arabo-islamica sul Mediterraneo, che ha fatto risalire soprattutto agli anni Sessanta caratterizzati dalla leadership incontrastata del generale Charles De Gaulle (1890-1970), Presidente della Repubblica francese ininterrottamente per l’intero decennio 1959-1969, e la cui politica estera si contraddistinguerà – tra l’altro – prima per la condanna dell’intervento statunitense in Vietnam – coincidente con il ritiro della Francia dal comando militare integrato della NATO – e poi per l’embargo verso Israele a seguito della fulminea guerra dei sei giorni condotta contro Egitto, Siria e Giordania (5-10 giugno 1967). Il risultato è che oggi – culturalmente e spiritualmente – molti occidentali vivono già nella condizione di “dhimmi”, lo status di sudditanza – cioè – che all’interno di una Nazione governata dalla sharia (la legge coranica) storicamente ha investito le comunità delle minoranze non-mussulmane, particolarmente dal punto di vista dei diritti civili e di cittadinanza, conculcati o riconosciuti solo in maniera parziale e relativa. Per questo, ha concluso la studiosa, è oggi più che mai fondamentale imparare a conoscere a fondo anzitutto la storia della civiltà islamica, a cominciare dai termini “jihad” e “dhimmi”, che ne connotano aspetti socialmente fondamentali e ci riguardano peraltro oramai sempre più da vicino, come dimostrano da ultimo le recentissime cronache dalla Tunisia, della Libia e dall’Iraq. In secondo luogo sarà poi necessario che l’Europa –  particolarmente nell’ambito delle sue classi dirigenti politiche e istituzionali – riscopra la sua diretta discendenza dai valori biblici e dalla propria storia religiosa, fattore di indubbia civilizzazione su temi fondamentali come quelli della dignità umana e del rispetto della persona, e che è invece negata in radice dal Corano in quanto tutti i Profeti dell’Antico Testamento e persino Gesù sono considerati logicamente meri anticipatori di Maometto e assumono infine un reale significato pubblico solo in rapporto alla sua figura e alla sua predicazione.

 

 

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