NELLE PIEGHE DELLA STORIA: DALLA  CHIAVE  ALLA  FEDE  NUZIALE (di Claudio Tescari)

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fedeDa quando l’umanità è uscita dalla Preistoria, il possesso di beni unanimemente considerati di valore ha creato l’esigenza di proteggerli dalla manomissione e dai furti. Già più di mille anni prima di Cristo, nelle città della Mesopotamia, erano in uso sistemi di chiusura, basati su piccole leve sagomate che attivavano (e sbloccavano) i congegni metallici applicati alle porte di vani interni nelle regge e nei templi. Nell’antico Egitto, sempre nel secondo millennio a. C., furono costruiti tipi similari di serrature ma in legno e con perni verticali che si incastravano, scendendo per la forza di gravità.

I Greci, cinque secoli prima di Cristo, perfezionarono il meccanismo e lo realizzarono in metallo: il catenaccio sagomato era fornito di fori di diversa forma e grandezza, nei quali si incastravano i perni e la chiave era formata con la medesima disposizione di perni in rilievo, atti a permettere l’apertura.

La tecnologia greca fu adottata nell’antica Roma e gli artigiani specializzati, i magistri clavari, col tempo seppero realizzare -in ferro e in bronzo- serrature, lucchetti e chiavi sempre più complicate, di diverse forme, dimensione e peso. Alcune chiavi bronzee erano così massicce e pesanti che si utilizzavano degli schiavi, i portiarii, per portarle al seguito del padrone. Oltre alla chiusura della porta di entrata, le serrature erano montate a protezione dell’arca, una massiccia cassa di legno con rinforzi metallici, nella quale erano custoditi i risparmi ed i beni di valore della famiglia: denaro, gioielli e stoviglie in argento e d’oro. Questa cassaforte, con serrature plurime, veniva posta nell’atrio della casa, essendo uno status symbol della ricchezza e della potenza del proprietario, e serviva ad impressionare ospiti e visitatori.

L’apertura di questa cassaforte, nell’epoca di Roma repubblicana, era affidata ad una chiave semplice ma multiuso: un cerchio metallico con la sporgenza sagomata e con un’incisione figurata, che serviva ad aprire una serratura dell’arca ed a validare i documenti, imprimendola sulla cera calda. Il nome dato a questo tipo di chiave fu sigillum e il capo famiglia la portava sempre con sé, appesa al collo.

In caso di matrimonio, lo sposo faceva fare una copia di questa chiave, per donarla alla sposa al suo ingresso nella nuova dimora, a riprova simbolica della fiducia – fides – riposta nella moglie per la gestione dei beni comuni. Anche alla sposa era così garantito l’accesso alla sua dote, che veniva depositata all’interno dell’arca.

Consegnare la fides alla consorte era un passaggio essenziale nel rito nuziale romano antico. Quando le condizioni economiche della singola coppia e dell’impero in decadenza, resero superfluo l’uso di un’arca, della chiave non rimase che l’anello, quel cerchio metallico che ancora oggi, ma in oro, si chiama fede nuziale.

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