UNA GENERAZIONE SENZA IL MURO (di Marco Invernizzi)

787

West Berliners crowd in front of the Ber E’ dunque passata una generazione: 25 anni fa infatti cadeva il Muro di Berlino e la data è di quelle epocali, che, tanto più si ripetono tanto più vanno spiegate, perché i giovani ne comprendano il significato.

Oggi, chi ha meno di 40 anni stenta a rendersi veramente conto di vivere in un “altro” mondo rispetto a quello delle ideologie, basato sulla contrapposizione fra il mondo comunista dominato dall’Unione sovietica e quello occidentale, guidato dagli Stati Uniti e che il Muro simboleggiava dividendo in due la capitale tedesca fra quella appartenente alla zona d’influenza rossa e l’altra, libera, dove tutti volevano scappare. Proprio perché questo non avvenisse più, nel 1961 era stato costruito il Muro dalle autorità comuniste.

Che questo Muro non ci sia più è certamente un bene per l’umanità. La caduta del comunismo ha restituito la libertà a decine di milioni di persone e ha ripagato i sacrifici di tanti martiri ed eroi che hanno sacrificato la loro vita perché questo avvenisse.

La Chiesa cattolica ha compreso prima e più di molti quello che stava accadendo e soprattutto come ci si debba comportare per rendere migliore il mondo nel quale viviamo, dopo il Muro. Un mondo, il nostro, che non conosce più la pretesa egemonica delle diverse ideologie che si sono susseguite per governare il mondo occidentale dalla Rivoluzione francese alla caduta del comunismo (1789-1989), ma non per questo è diventato migliore. Dopo la modernità, dopo le ideologie, oggi sperimentiamo a livello sociale quella depressione che sembra essere la malattia dominante della nostra epoca, anche a livello individuale. Una depressione radicale e vistosa, che attanaglia l’Occidente privo di ideali, dove non nascono più bambini e molte centinaia di migliaia ne vengono uccisi ancora nel grembo materno in nome della “cultura dello scarto” denunciata da papa Francesco come caratteristica della nostra epoca, che uccide anche gli anziani diventati meno capaci di produrre e per questo ritenuti inutili.

Già prima del 1989, a partire dal pontificato di Pio XII, il Magistero aveva invitato i fedeli a rifare un mondo diventato selvatico, a ricominciare dai preamboli della fede e dai Novissimi, come aveva già spiegato papa Pacelli. Sarà soprattutto nei pontificati successivi che il Magistero dedicherà sempre maggiore attenzione a quella nuova evangelizzazione che poi diventerà l’aspetto centrale della seconda parte del pontificato di san Giovanni Paolo II, appunto dopo il 1989.

Nuova non nella dottrina, che non può cambiare, ma nelle modalità di trasmissione. L’uomo postmoderno, infatti, è profondamente diverso nella cultura, negli interessi, nelle modalità di comunicazione e nei tratti psicologici rispetto all’uomo dell’epoca ideologica. Chi, per esempio, ha attraversato il passaggio dalla modernità alla postmodernità dal posto di osservazione di una cattedra scolastica, può testimoniare molto dettagliatamente questa mutazione avvenuta nei giovani che di anno in anno si sono presentati nelle sue classi. Non si tratta di giovani migliori o peggiori, ma certamente diversi.

È come se fosse finita una guerra e i combattenti fossero usciti dalle trincee, ricominciando a parlarsi come da tempo non accadeva. L’immagine ci aiuta a comprendere quanto è avvenuto dopo la fine delle ideologie e dei rispettivi partiti di massa, dello scontro in nome di ideali che oggi appaiono vecchi e appassiti.

Il compito principale dell’evangelizzazione consiste nello riempire questi vuoti creatisi con la caduta delle ideologie e occupati da una egemone “dittatura del relativismo”, come soprattutto papa Benedetto XVI ha ripetutamente insegnato. Si tratta perciò di dare maggiore tempo e rilevanza alla parte espositiva della dottrina cattolica, di introdurre sempre più una narrazione che evidenzi le tappe della storia della salvezza mettendo in luce l’amore infinito con cui il Signore ha accompagnato la storia degli uomini, permettendo loro di superare gli ostacoli incontrati, anche attraverso il ruolo provvidenziale svolto, nei tempi moderni, dalle apparizioni della Madre di Dio. Non bisogna mai smettere di denunciare gli errori e di smascherare la malizia di chi si oppone al progetto di Dio sugli uomini, ma si deve prendere atto di come gli uomini oggi, in particolare i giovani, siano maggiormente sensibili alla via della bellezza piuttosto che ai ragionamenti teorici e alla distinzione fra il bene e il male. Si tratta anche, e forse soprattutto, di sottolineare come certi aspetti della relazione fra gli uomini, come l’attenzione ai bisogni delle persone, l’accoglienza fraterna, la capacità di ascoltare e di stare vicini a coloro che soffrono, siano elementi particolarmente decisivi nell’apostolato odierno, che sempre più gioca la sua battaglia per la salvezza delle anime nel rapporto personale.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui