U.R.S.S.: STORIE DI ORDINARIE DEPORTAZIONI

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Il Gulag di Karlag in Kazakistan

Nel suo libro “Sovietistan” l’autrice Erika Fatland scrive che “… Il Kazakistan è il paese a maggioranza islamica più settentrionale del mondo: circa il settanta per cento della popolazione è di fede musulmana.”

Dopo la dissoluzione dell’U.R.S.S., il Kazakistan è stato governato dagli anni ’90 fino al 2019 dal presidente Nazarbaev (già considerato padre della Patria ma oramai in disgrazia), che fu educato nell’Unione Sovietica atea e che, dal punto di vista religioso, si è adoperato per diffondere una forma laica di sunnismo, in sintonia con «i valori tradizionali kazaki».

Le recenti proteste popolari (nei primi giorni di gennaio 2022) contro l’aumento dei prezzi al consumo, la corruzione e la crisi economica sono state stroncate con pugno di ferro, grazie anche alla presenza massiccia dei soldati russi mandati da Vladimir Putin.

Ma se il 70% dei Kazaki è musulmana, con grandi moschee nelle principali città, non mancano i Cristiani, che sono circa il 27% della popolazione.

Le ragioni di questa presenza discreta vanno ricercate nella storica presenza russa nella regione, che si è accentuata con la Rivoluzione comunista.

Scrive Erika Fatland: «Per settant’anni è stato vietato ai buoni cristiani di praticare la loro fede, e molti cattolici di paesi lontani furono trasferiti con la forza qui, a Karaganda nel Kazakistan, a causa della loro nazionalità e della loro fede.”

I polacchi furono tra i primi a subire questa sorte, ma assolutamente non gli ultimi. Intere nazionalità furono definite «nemiche del popolo» e deportate in Siberia o nell’Asia centrale, specialmente in Kazakistan.

Questo paese aveva pochi abitanti e sterminate pianure deserte, spesso gelate. Popolazioni intere vi furono scaricate dai treni, abbandonate a se stesse, con i soli indumenti che avevano addosso. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, le deportazioni aumentarono di pari passo con la paranoia di Stalin. Chiunque fosse sospettato di simpatizzare per i tedeschi, o di costituire in altro modo un pericolo per l’Unione Sovietica, fu cacciato dalla propria casa e manato ad Est.

I tartari della penisola di Crimea, i ceceni e gli ingusci del Caucaso settentrionale e i tedeschi delle colonie del mar Nero e del Volga: durante gli anni del conflitto, furono tutti mandati in Asia centrale.

Secondo le stime, un totale di sei milioni di persone fu trasferito con la forza negli anni trenta e quaranta. Circa un quarto di queste morì durante il trasporto o nel primo periodo dell’esilio.

Ancora oggi in Kazakistan vivono oltre cento nazionalità diverse: una conseguenza duratura del brutale regime di Stalin.

Le condizioni di vita fin da subito si rivelarono terribili.

“Centinaia di migliaia di persone vivevano così. Non erano detenute, ma neanche libere. Costrette a lavorare dalla mattina alla sera senza riuscire a sfamare la famiglia. A volte era difficile distinguere tra le persone in teoria libere e i carcerati a tutti gli effetti. Anche questi erano numerosi. Il campo di prigionia di Karaganda andava sotto il nome di Karlag ed era tra i più grandi del sistema Gulag: si estendeva su un territorio grande come tutto il Kuwait. Molti detenuti erano artisti, intellettuali e scienziati che non necessariamente avevano commesso qualche crimine, ma venivano considerati una minaccia per il regime in quanto liberi pensatori. Altri venivano incarcerati, perché agli occhi del regime erano stati troppo ricchi o si erano distinti in altro modo.

Per sicurezza, spesso venivano incarcerati anche le mogli e i figli dei detenuti. Gli internati dei campi di lavoro erano molto utili all’economia sovietica” (Sovietistan, pag.183-184).

 

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