A PROPOSITO DI INSORGENZE ANTIGIACOBINE. UNA RISPOSTA AL PROF. MASSIMO CATTANEO (di Guido Verna)

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n3_insorg-30_05_1799 1. Premessa e limiti

2. Gli elementi «tecnici»

2.1 L’omissione

2.2 Lo snaturamento delle parole dell’altro

2.3 Il processo alle intenzioni

2.4 La millanteria

2.5 La necessità morale della «re-visione»

3. Lo spirito soggiacente

3.1 La polvere e i maestri

3.2 Prevedere il passato

3.3 Dal mielismo al fielismo

3.4 Una soluzione antica ma ormai impraticabile: ti conosco, farfallina…


1. Premessa e limiti

L’attacco sferrato da Cattaneo (1) a «tutto il mondo» — nel quale sono sorprendentemente compreso anch’io — che si è occupato dell’Insorgenza senza rispettare la chiave ermeneutica fissata una volta per tutte dalla storiografia prodotta dai Depositari Indiscutibili della Verità del Passato [DIVP], mentre aggiunge poco sul piano storico — ma anche su quello meno alto della polemica —, mi pare invece straordinariamente esemplare in relazione agli elementi «tecnici» e allo spirito «animatore» che da esso emergono.

Premetto che non entrerò nel merito degli argomenti storici specifici che lascio a chi se ne occupa professionalmente, perché il sottoscritto di mestiere fa l’ingegnere e semmai, solo nel tempo libero, il lettore di qualche libro di storia.

Aggiungo che, dopo tanti anni passati tra disegni e numeri, l’essermi ritrovato tra gli «storici», sebbene tra virgolette, avrebbe potuto anche lusingarmi e, quindi, farmi accettare di buon grado i rimbrotti spietati del professore — storico senza virgolette — e finirla lì. Sennonché…

2. Gli elementi «tecnici»

«In un campo l’intellettuale è veramente maestro, nell’arte dell’interpretazione, cioè nella capacità di combinare e rimaneggiare certi fatti, di lasciarne correre altri “senza notarli”, oppure di respingerli come inattendibili se non addirittura di etichettarli con sdegno come menzogna intenzionale. È un maestro insuperabile del contesto, che cambia senza che gli astanti se ne accorgano per poi, come un prestigiatore fa uscire il coniglio dal cilindro, sciorinarvi le deduzioni più inattese da fatti che non c’entrano per niente» (2)

Vladimir Bukovskij

2.1 L’omissione

Sennonché, anzitutto i citati elementi «tecnici» che emergono nel trattamento riservatomi anche se non sorprendono più di tanto chi conosce anche minimamente il milieu culturale all’interno del quale respira il professore meritano, per il loro valore generale, di essere portati in evidenza.

Comincio dal primo: l’omissione.

L’accusa al sottoscritto suona così: «Nel secondo numero del 2002 [della rivista Annali italiani] appare un lungo articolo di Guido Verna, dirigente di Alleanza Cattolica e collaboratore del “Secolo d’Italia”, intitolato Memoria, Insorgenza, identità. Una riflessione sine ira et studio. Verna mette insieme insorgenze, Risorgimento, stalinismo, comunisti italiani e perfino l’11 settembre, in un confuso guazzabuglio teso a dimostrare che è finalmente giunta l’ora della ripresa della centralità dell’identità cattolica come radice autentica dell’italianità» (p. 102).

L’omissione del professore di cui dirò appena dopo sarebbe solo poco elegante e un tantino volgare, se invece non facesse riflettere, molto più gravemente, sull’ipotesi di trovarsi di fronte a un comportamento «di scuola».

Nella quasi certezza che nessuno avrebbe controllato, Cattaneo non ha scorrettamente fatto il minimo riferimento a qualcosa di fondamentale per la definizione del livello del mio scritto, che non si situa e non vuole situarsi su quello scientifico degli storici di professione bensì dichiaratamente e modestamente su quello più basso e meno cogente dell’ utilizzatore delle loro ricerche.

L’«omesso» è quanto segue, riportato nella nota preliminare del mio articolo: «Questo articolo nasce dalla rielaborazione e dall’annotazione di una relazione tenuta dall’autore in occasione della commemorazione del seminarista reggiano quattordicenne Rolando Rivi, ucciso dai partigiani comunisti nell’aprile del 1945, alle Piane di Monchio, nell’Appennino modenese. La conferenza ha costituito il momento conclusivo di un pellegrinaggio a San Valentino di Castellarano nel Reggiano — dove Rivi nacque ed è sepolto — organizzato dalla provincia emiliana di Alleanza Cattolica il 9 settembre 2002» (3).

Quindi non si trattava di un articolo con pretese storiche sull’Insorgenza, bensì di una conferenza in cui sviluppavo considerazioni generali su come era stato possibile che un popolo civile come il nostro fosse imbarbarito fino al punto di generare uomini in grado di trucidare un ragazzo di 14 anni colpevole solo di essere un seminarista.

Se quegli uomini si dichiarano comunisti e sono italiani, permetterà il professore che lo stalinismo e, appunto, i comunisti italiani possano essere presi in considerazione….

Se poi il motore del gesto è l’odio per la tonaca, permetterà ancora il professore che si possa tornare un po’ indietro per vedere quando tale odio comincia ad avere una dimensione politico-sociale rilevante, almeno per non cadere nell’errore rimproverato da Bukovskij — necessariamente rispolverato dal sottoscritto e, quindi, utilizzato con un po’ di dovizia — a qualche intellettuale americano: «[…] se non capiscono che il marxismo è derivato dagli “ideali dell’illuminismo”, non sono in grado di scorgerne la pericolosità»(4).

2.2 Lo snaturamento delle parole dell’altro

Per evidenziare il secondo elemento «tecnico» utilizzato nella stroncatura — dopo l’omissione, lo snaturamento di quanto detto dall’«altro», fondato sul fatto che le affermazioni di chi sta dalla parte della Vulgata diventano assiomi e quindi non controllate da nessuno — sono costretto a riportare la citazione testuale del mio solito articolo in cui parlo dell’11 settembre: «Se vogliamo visualizzare e memorizzare il carattere dell’identità italiana, usando un termine purtroppo diventato famoso dopo l’11 settembre 2001, che cosa caratterizza il nostro skyline? Viene spontaneo rispondere: il campanile e la croce, la dolcezza delle nostre colline e delle nostre marine punteggiate di campanili, l’asprezza delle nostre montagne disseminate di croci»(5).

L’11 settembre c’entra, dunque, soltanto perché lo segnalavo come origine di un inglesismo da me utilizzato e allora di «moda». Ricordate il giudizio del professore: « […] mette insieme insorgenze, Risorgimento, stalinismo, comunisti italiani e perfino l’11 settembre, in un confuso guazzabuglio»?

Senza commenti. Se mai solo con questo: il guazzabuglio si annida in altri spiriti. 2.3 Il processo alle intenzioni

Ancora: con un processo alle intenzioni anch’esso «di scuola», vengo accusato di utilizzare «strumentalmente», come fanno i revisionisti, un «autore stimato» come Ernesto Galli della Loggia, attingendo nelle citazioni al suo felice testo L’Identità italiana.

Nell’articolo, peraltro, avevo chiarito in via preliminare lo scopo delle citazioni e avvertito sulla diversità di prospettive tra i due autori citati, Galli della Loggia e Keyes O’Clery(6), nei termini seguenti: «Per aiutare a illuminare la questione di quale sia la vocazione dell’Italia valgano queste due citazioni, […] tratte da due soggetti lontani tra loro più di cent’anni, e appartenenti a prospettive non del tutto coincidenti: una del cattolico irlandese dell’Ottocento Patrick Keyes O’Clery e l’altra del politologo Ernesto Galli delle Loggia»(7).

Assolutamente vietato, per questi spiriti settari, che lo stimabile prof. Galli della Loggia possa essere stimato anche da qualcuno fuori dal loro giro: mi toccherà chiedergli scusa per aver comprato il suo libro, averlo letto, averlo apprezzato e averlo citato.

Tutto strumentale, piegato al fine perverso della «revisione»: impossibile che ci possa essere — da parte di chi non è tra i DIVP — un apprezzamento sincero per una intelligenza lucida e onesta.

2.4 La millanteria

Infine, merita di essere rilevato l’ultimo elemento «tecnico»: l’utilizzazione, a garanzia del lettore, del rimando «colto» a un libro-fonte. Però: mai letto, forse nemmeno mai visto.

Scrive, dunque, il professore: «Dopo gli scontri con “Pseudo-Riforma”, Rivoluzione francese e comunismo, attualmente saremmo entrati nella quarta fase di questa lotta e ora il principio della Rivoluzione si incarnerebbe nell’Islam, lanciato alla conquista dell’Europa»(p. 96), con un tranquillizzante, esauriente e «scientifico» rimando in nota: «Cfr. P. Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Controrivoluzione, Cristianità, Piacenza 1978».

Bene: prendo il libro e confronto. Leggo il Capitolo III della Parte III, intitolato La IV Rivoluzione nascente; vi si parla di strutturalismo, tribalismo, pentecostalismo; dell’islam nemmeno l’ombra: il professore cita un libro ma non lo ha mai letto, nemmeno il suo indice(8).

Almeno così spero per lui, perché se lo avesse letto e trattato in questo modo sarebbe ben peggio…

È anche questa una tecnica «di scuola»?

Approfitto per riportare una descrizione assolutamente sintetica della predetta IV fase, non tanto — o non solo — perché, nella sua brevità, è molto ben fatta e perché è quasi fresca di giornata, bensì, soprattutto, perché è stata scritta da un’altra «vittima innocente» degli strali avvelenati di Cattaneo, da Mauro Ronco, che non è uno storico ma è ordinario di diritto penale presso l’Università di Padova. In più la riporto perché sono certissimo che il prof. Ronco ha letto Rivoluzione e Controrivoluzione e, quindi, per esempio, a differenza di Cattaneo, non ha mai promosso a teologo il suo autore, il pensatore brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira.

«Il 1968 iniziò l’attuazione del programma di una “rivoluzione nella vita quotidiana” [IV Rivoluzione ndr] , che si pose come coronamento e completamento della rivoluzione religiosa, politica ed economica [Riforma protestante, Rivoluzione francese, Rivoluzione comunista, rispettivamente I, II e III Rivol.], e che mirò a trasformare l’uomo nella sua stessa struttura ontologica, attraverso la sovversione della struttura dei suoi bisogni»(9).

2.5 La necessità morale della «re-visione»

«Dobbiamo conoscere tutto ciò che è accaduto in passato, ma non come ce l’hanno raccontato fino ad oggi, bensì alla luce dell’insegnamento di Marx, Lenin e Stalin»(10).

Maksim Gor’kij

«Il secondo grande avvenimento del 1936 furono le Osservazioni di Stalin, Zdanov e Kirpov al “progetto di manuale della Storia dell’URSS” e al progetto di manuale di Storia moderna. Redatte nel luglio del 1934, le Osservazioni furono pubblicate solo 18 mesi dopo, completando il processo di nazionalizzazione della vita spirituale della società sovietica. Era un fatto di enorme importanza: si trattava di sottoporre a statalizzazione la memoria».(11)

Mihail Geller – Aleksandr Nekri?

Se per fare cronaca — cioè per descrivere quello che cade sotto gli occhi — si usano elementi «tecnici» come quelli descritti, non è illecito supporre che i medesimi possano essere usati anche per fare storia, cioè per descrivere tempi e personaggi che non cadono più sotto gli occhi: da qui, come ennesima riprova, la necessità morale della «re-visione» — in molti casi più semplicemente e più gravemente si potrebbe addirittura dire: della «visione» — di fatti e uomini e periodi passati.

Per rispetto dei morti, ma anche dei vivi.

3. Lo spirito soggiacente

Descritta la qualità del pulpito da cui proviene la predica e avendo naturalmente lasciato agli storici di professione di entrare nel merito di essa, potrei a questo punto tranquillamente concludere: et de hoc satis.

Ma come ho prima accennato, c’è qualcosa in più e di più generale che mi pare meriti di essere ancora colto dallo scritto di Cattaneo: lo spirito che ad esso è soggiacente.

3.1 La polvere e i maestri

«La verità è nella storia, ma la storia non è la verità». (p. 31)

«Nulla è spiegabile fuori dalla storia, la storia da sola non spiega nulla». (p. 57)

«Inchiniamoci allo storico quando dimostra che una certa cosa è accaduta, ma limitiamoci a sorridere quando afferma che doveva accadere» (p. 61). (12)

Nicolás Gómez Dávila

Anzitutto, mi pare opportuno sottolineare un’idea che attraversa sempre più spesso la cultura italiana: la pretesa che di storia possano parlare solo gli storici di professione, includendo in questa categoria solo i relativi professori universitari che, in più, si impolverano negli archivi.

Quelli come me — e anche come il prof. Ronco — a cui piace un po’ la storia hanno sincera gratitudine per i professori universitari di tale materia che si impolverano negli archivi. E li apprezzano moltissimo tanto è vero che comprano i loro libri e li leggono.

Da loro traggono alimento; ma leggendo si accorgono che — come tra gli ingegneri o i contadini, tra gli operai o i commercialisti, come, cioè, in ogni porzione omogenea di umanità — anche tra di essi ci sono quelli buoni e quelli cattivi, quelli onesti e quelli disonesti, quelli chiari e quelli scuri. Si accorgono che alcuni la raccontano in un modo, altri in un modo diverso; alcuni la raccontano lunga, altri brevissima, altri ancora per niente. Si accorgono che ci sono quelli che credono in Dio e quelli atei, quelli che considerano l’uomo solo materia e quelli che gli attribuiscono anche l’anima, quelli che ipotizzano possibile il paradiso in terra e quelli che invece sperano nel Paradiso celeste.

E allora, cominciano a confrontare le storie, a valutarle, a riflettere e a volte anche a scriverne, senza la pretesa di inventare niente, di scoprire di nuovo l’America, se mai solo per indicare — delle tante descrizioni della scoperta fatte dagli impolverati storici di professione — quella che «preferiscono», che sentono più vicina alla loro «visione del mondo», quella cioè più aderente alla idea di uomo — della sua natura e del suo fine — che hanno.

Perché se è vero che tutti questi storici sono d’accordo sul fatto che un certo giorno del 1492 Colombo salpò con tre caravelle, mi pare altrettanto vero che, un attimo dopo essersi spolverati, la concordia tra di essi comincia a venir meno, quando per esempio si tratta di cogliere il perché abbia salpato.

Ciascun uomo, per quasi ogni ramo dello scibile, è obbligato dalla sua finitudine a scegliersi maestri. Non credo che il professore non abbia mai parlato degli egiziani, degli etruschi, dei romani, degli uomini dell’alto medioevo eccetera. Pur concedendo al professore una sapienza fuori dal comune, non credo, allo stesso tempo, che prima di parlare di essi si sia impolverato dentro una piramide o una tomba, fra le colonne di un tempio pagano o nella penombra di una chiesetta romanica. Anche lui è dovuto ricorrere ad altri e, tra questi, ha dovuto scegliersi i suoi maestri.

Si può parlare di filosofia senza essere filosofi, di poesia senza essere poeti, di cinema senza essere registi: mai di storia senza essere storici di professione e impolverati.

Il professore si meraviglierà ma ho trovato moltissime cose intelligenti sulla storia pensate e scritte da «non storici»; ho trovato libri illuminanti sulla storia eppure costruiti come «libro da libri», da qualcuno che legge, pensa, rielabora e riscrive.

3.2 Prevedere il passato

«Il problema che si pone a coloro che riflettono sulla storia, in particolare sulla storia contemporanea con occhio filosofico, è innanzi tutto quello di trarre un insegnamento dalle condizioni che hanno portato tanti nostri predecessori nel corso del XX secolo a sintesi e interpretazioni storiche che si sono rivelate false. La nostra funzione primaria, mi sembra, non è quella di pervenire ad una sorta di condivisione delle nostre rispettive opinioni, di consenso storico, ma di fuggire le tentazioni di falsificazione o di rimozione in relazione alle interpretazioni di cui erano vittime molti nostri avi e che, devo dirlo, erano sovente più giovani di me.

Certo il bilancio complessivo delle falsificazioni e delle loro fonti è lungi dall’essere fatto, il processo di rivisitazione degli ultimi due secoli – per usare questo termine di François Furet, il quale ha creato un bel modello con la sua revisione storica della Rivoluzione Francese – è lungi dall’essere compiuto. Ciò mi riporta ad una proposta di uno storico sovietico incontrato a una conferenza a Venezia negli anni Sessanta, il quale mi ha detto: “Vi invidio, voi occidentali, che discettate delle difficoltà di prevedere il futuro della nostra civiltà. Noi in Unione Sovietica, invece incontriamo grosse difficoltà a prevedere il passato” »(13).

François Fejtö

Tutto questo mi sembra terribilmente ovvio: ma allora, perché? Perché questi attacchi?

La risposta, con buona approssimazione, ritengo che possa esser la seguente: non perché dei «non storici» scrivono di storia, bensì perché essi, pensando e scrivendo, non hanno assunto loro — i DIVP — come maestri.

Eppure, fra questi ultimi, moltissimi vengono da quella scuola abituata «di principio» a leggere continuamente il passato alla luce delle necessità del presente e del futuro; dove nel racconto della storia qui si poteva tranquillamente — si doveva coattivamente — cambiare opinione senza che fosse minimamente necessario impolverarsi; dove, l’ambito storico era — doveva essere — quello elastico per eccellenza, affinché il passato potesse essere sempre á la page, funzionale e armonico col presente continuamente cangiante; tanto che, molto felicemente, François Fejtö ha ricordato quanto gli aveva detto uno storico libero che operava , nell’impero comunista, circa una ulteriore e particolare difficoltà che incontrava nel suo lavoro: quella di «prevedere il passato». Quale sarebbe stato il segnale — l’ordine — di nuova interpretazione da parte del Centro Ermeneutico? E quando?

Noi, qui ma soprattutto oggi, siamo un po’ più fortunati, perché il Centro, almeno a leggere l’attacco di Cattaneo, pare non godere più di una salute ferrea, per cui ci si può cominciare a muovere con una certa autonomia…

3.3 Dal mielismo al fielismo

«Revisionista. L’aggettivo è stato forgiato nel passaggio dal XIX al XX secolo dalla polemica tra Bernstein e Kautsky, per condannare le tesi di Bernstein come contrarie al marxismo. E’ più lieve di “rinnegato” che sarà il termine utilizzato un po’ più tardi da Lenin contro Kautsky: nel frattempo la terminologia del disaccordo è scesa all’insulto. Ma persino nella sua forma primitiva implica l’idea di una nuova e falsa interpretazione della dottrina di Marx. Il revisionista è un eretico che nasce in seno alla credenza ortodossa, di cui propone una versione nuova, diversa da quella degli interpreti autorizzati»(14).

François Furet

Il modo di presentare gli «storici revisionisti» è anch’esso abbastanza «classico».

Di ognuno viene fornito il background politico-culturale — ma può parlarsi di cultura per tipi così? —, con sottolineatura di una appartenenza: non si tratta di cattolici potabili, come Prosperi e Prodi, bensì di «cattolici di destra», quindi, con ovvia presunzione, affetti da malattie culturali — sempre tenendo presente l’incertezza della risposta alla domanda un attimo fa formulata — incurabili.

E’ uno stile che altrove e prima della caduta del Muro avrebbe fatto venire qualche brivido, mentre oggi, se Dio vuole, serve solo a rappresentare la permanenza di altri solidissimi muri dentro gli «sconfitti dalla storia».

Su tutto aleggia un disprezzo e una sorta di rancore sordo, francamente desueti in soggetti che si autodefiniscono «storici di professione», a molti dei quali, peraltro, dopo il fallimento planetario del sogno comunista di realizzare il paradiso in terra, nessuno ha chiesto di rendere conto delle loro, appunto, fallimentari chiavi interpretative marxiste, per cui si poteva ragionevolmente sperare sia in una loro almeno parziale resipiscenza sia nell’assunzione di un atteggiamento meno aggressivo e supponente.

E invece no. Se mai sono diventati ancora più culturalmente aggressivi, con uno stile che merita di essere definito con un neologismo.

Se nel suo articolo Cattaneo ha usato il termine mielismo, per definire tecnicamente — e mi pare in modo non particolarmente positivo, utilizzando una espressione di Bruno Bongiovanni — «[…] la tendenza a usare lo strumento della recensione per presentare ai lettori “il ‘nuovo’, l’inedito che con audacia, trasgredendo vari tabù, si fa strada” »(p. 97)., io più modestamente, per assonanza, indicherei questo stile acido e bilioso assunto dalla storiografia postcomunista col termine fielismo.

3.4 Una soluzione antica ma ormai impraticabile: ti conosco, farfallina…

«[…] se la prima goccia di verità [la pubblicazione del libro Una giornata di Ivan Denisovi?] è esplosa come una bomba psicologica, cosa avverrà nel nostro paese quando la Verità [maiuscola dell’autore] precipiterà a cascata? ».(15)

Aleksandr Solženicyn

«Per i più ostinati era pronta una punizione più dura: la reclusione in un ospedale psichiatrico speciale (carcerario) o in uno normale. Ciò voleva dire, in pratica, che dei semplici dubbi manifestati su qualche scelta politica, anche senza parlare di un appello a rovesciare il potere sovietico, potevano comportare l’internamento con tanto di perizia medica. I medici, completamente controllati dal regime, inventarono una nuova malattia che, se da un lato era difficilmente dimostrabile, dall’altro era difficilmente confutabile: la “schizofrenia strisciante”. In altri casi si ricorse alla formula di: “complesso di riformismo” L’internamento in manicomio diventò uno dei più diffusi strumenti di lotta contro la dissidenza. ».(16)

Mihail Geller – Aleksandr Nekri?

Per cercare di cogliere l’origine di questo nuovo stile fielista, si potrebbe pensare che l’ipotesi che qualcun altro possa buttare una minima ombra sul loro ruolo di DIVP li turbi fuori misura; oppure si potrebbe immaginare che la prospettiva che altri possano entrare nella stanza del Centro Ermeneutico faccia insorgere in loro reazioni incontrollabili.

Per quel che riguarda Cattaneo, sono però convinto che c’è un di più: c’è qualcos’altro che deve averlo irritato ancor più profondamente, se leggendo il mio articolo ha avuto anche qualche lampo onirico, quando ha visto, non si sa dove, «[…] accanto al fioretto, torna[re] ancora a scintillare la sciabola» e ha intuito, non si sa come, che il mio «confuso guazzabuglio [è] teso a dimostrare che è finalmente [sic] giunta l’ora della ripresa della centralità dell’identità cattolica come radice autentica dell’italianità»(p. 102).

Quello che lo ha irritato di più penso sia questo: che io, in piena stagione cristofobica, abbia potuto parlare di Verità con la V maiuscola: «Chiaramente la verità con la V maiuscola è quella consegnata da Cristo alla Chiesa»(ibid.).

Ha perfettamente indovinato, professore. Sennonché…

Sennonché la lunga citazione del mio articolo, comincia così: «L’incipit di Verna è significativo di quale sia il suo orizzonte mentale e culturale» (ibid.).

Passi per il culturale, ma è quel mentale che mi preoccupa un po’, anche se, una volta, mi avrebbe preoccupato molto di più.

Comunque sia, sono stato costretto a riprendere in mano Gli archivi segreti di Mosca di Vladimir Bukovskij e a rileggere il capitolo Il GULAG psichiatrico.

Infine, però, mi sono rasserenato riflettendo che, oltre all’aiuto del cielo, in Italia c’è anche la possibilità di un aiutino giuridico: la legge Basaglia…


Note

(1) Cfr. Massimo Cattaneo, Insorgenze controrivoluzionarie e antinapoleoniche in Italia (1796-1814). Presunti complotti e sedicenti storici, in Passato & Presente. Rivista di storia contemporanea, XXV, 74, Franco Angeli, Milano 9-8-2008, pp. 81-107 [le citazioni virgolettate in corsivo senza specificazioni e con la sola indicazione di pagina sono tratte da questo testo].

(2) Vladimir Bukovskij, Gli archivi segreti di Mosca, Spirali, Milano 1999, p. 579.

(3) Guido Verna, Memoria, Insorgenza, identità. Una riflessione sine ira et studio, in Annali Italiani. Rivista di studi storici, anno I, n. 2, Milano luglio-dicembre 2002, pp. 155-176 (p. 155).

(4) V. Bukovskij, op.cit, p. 746.

(5) G. Verna, op. cit., p. 164.

(6) Cfr. Patrick Keyes O’ Clery, La Rivoluzione Italiana. Come fu fatta l’unità della nazione, traduzione e presentazione di Alberto Leoni, con bibliografia e indice dei nomi a cura di Guglielmo Gualandris, Ares, Milano 2000, e Ernesto Galli Della Loggia, L’identità italiana, il Mulino, Bologna 1998.

(7) G. Verna, op. cit., p. 162.

(8) Cfr. Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, 3a ed. it. accresciuta, con lettere di encomio di mons. Romolo Carboni (1911-1999), Nunzio Apostolico in Perù-oggi Nunzio Apostolico in Italia, e un saggio introduttivo di Giovanni Cantoni, L’Italia tra Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, Cristianità, Piacenza 1977. Il Capitolo III della Parte III — intitolati il primo La IV Rivoluzione nascente, la seconda «Rivoluzione e Controrivoluzione» vent’anni dopo — si articola nei paragrafi seguenti: 1.La IV Rivoluzione «profetizzata» dagli autori della III Rivoluzione; 2.IV rivoluzione e tribalismo: una eventualità; A.IV Rivoluzione e preternaturale; B.Strutturalismo. Tendenze pre-tribali; C.Modesto contributo; D.La opposizione degli uomini banali; E.Tribalismo ecclesiastico. Pentecostalismo. 3. Doveri dei contro-rivoluzionari di fronte alla IV Rivoluzione nascente (pp.189-195).

(9) Mauro Ronco, Prefazione a Enzo Peserico, Gli anni del desiderio e del piombo. Sessantotto, terrorismo e Rivoluzione, pp. 11-22 (16-17).

(10) Cit. in Mihail Geller – Aleksandr Nekri?, Storia dell’URSS. Dal 1917 a Eltsin, trad. it., Bompiani, Milano 1997, p.5

(11) Ibid., p. 338.

(12) Nicolás Gómez Dávila, Tra poche parole, Adelphi, Milano 2007.

(13) François Fejtö, La Storia, verità e falsificazione, in Nuova Storia Contemporanea, anno XII, n. 4, Roma luglio-agosto 2008, pp. 5-10.

(14) François Furet, Il passato di un’illusione. L’idea comunista nel XX secolo, Mondadori, Milano 1995, p. 512.

(15) Aleksandr Solženicin, Arcipelago Gulag, 1918-1956, Saggio di inchiesta narrativa, I-II, Mondadori, Milano 1975, p. 303.

(16) M. Geller – A. Nekri?, op. cit., pp. 675-676.

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