ABEL BALBO, CAMPIONE DI FEDE (di David Taglieri)

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Abel Balbo, ex calciatore di razza, tutto grinta, sudore e tecnica, è uno di quelli che ha sempre svolto la professione sportiva nell’amore per il calcio, inteso come gioco di uomini figli di Dio. Ogni partita era una prova, una sfida con se stesso e con l’avversario, un goal da dedicare all’aldilà.

E infatti, soprattutto nella parentesi italiana, ogni rete era una dedica gestuale con il dito rivolto verso il cielo; Udine e Roma le tappe fondamentali della sua carriera, poi una breve parentesi nella Fiorentina con l’amico Batistuta, che se lo riportò a Roma a fine carriera.

Vinse lo scudetto, non da protagonista, ma da incitatore dalla panchina; fu comunque una soddisfazione.

Proveniente dall’Argentina, quella di tradizione cattolica, per Abel la domenica era Messa, l’incontro con il Signore, l’oratorio, l’amicizia con gli altri, bambini e pallone, tanto pallone.

Le radici sono importanti, dice Abel, è da lì che parte l’albero della saggezza, la linfa della vita, la fede e l’essenza di un popolo, il caposaldo e il fondamento di un’esistenza virtuosa.

Ricorda il piccolo paesino, dove erano le cose più piccole a costruire la felicità, quella vera, quella interiore.

Oggi invece la semplicità è condannata: questi campioni nella vita e sul campo ci dimostrano il loro carattere di eccezionalità, dato che normalmente ci si omologa sempre più all’artefatto e all’esibito.

Illuminanti i suoi ragionamenti, come questo: ‘’Sento dire da qualcuno che crede in Dio ma non nella Chiesa. Ma è un’affermazione senza senso! Può anche capitare d’incontrare un sacerdote che, forse, non è all’altezza della sua missione. Ma io non vado in una parrocchia per stare bene con quel prete o per vedere se è bravo e simpatico. La missione del sacerdote è di avvicinarmi a Cristo e io vado in chiesa per essere sempre più vicino a Cristo’’.

Un ammonimento anche a tutti quei preti che credono sia molto “figo” mostrarsi sbottonati e alla moda, magari senza segni di riconoscimento, ma poi nella sostanza sono poco ferrati sull’argomento fede (a quel punto se bisogna far ridere meglio l’animatore dei villaggi in parrocchia…).

Oltretutto se si accenna alla risata, in un secondo momento si pensa e ci si domanda: se deve essere esattamente come me, perché ha fatto quel passo?

Sia chiaro: una buona comunicativa e una dose di simpatia non devono mancare, ma non possono sostituire la sostanza, al massimo essere complementari.

E poi si può attirare bene anche coniugando tradizione e voglia di vivere.

Balbo confessa di aver sentito discorsi assurdi da parte di alcuni giocatori, che si segnano solamente per scaramanzia, lui invece fa sempre la preghiera del Lavoratore, santificare il lavoro, permearlo di Dio, anche adesso che cura dall’esterno la visione tecnica delle squadre o nei suoi commenti in tv o alla radio.

Pregare non è per la vittoria, pregare è per avere in qualunque circostanza Dio vicino, nella prova e nella piccola sconfitta legata al fallimento, nella gioia, perché siamo esseri finiti, pieni di vizi, pieni di capacità e di quei talenti che ci sono stati donati.

Spesso il mondo del calcio è crudele, per un periodo Abel è stato deriso per la sua fede, con i classici appellativi del bigotto o del fanatico.

Ma lui -come un guerriero- è sempre andato avanti, impegnandosi sul campo, allenandosi duramente, riflettendo sempre, perché anche la riflessione fa di una persona un Uomo.

E l’uomo è essere totale.

A Udine ad esempio andava da solo il sabato sera a Messa. Dice: ‘’Io non ho fatto nulla…ad un certo punto due giocatori mi chiesero se potevano venire con me…ben felice!’’

Alla fine tutta la squadra il sabato era nella cappellina…

Un mondo duro quello del calcio, specie oggi che offre modelli distorti, la moda, le droghe, la vita sragionata fatta di sballi.

Anche questa è una prova e fa scoprire quanto può essere più soddisfacente una testimonianza non noiosa e pedante, ma coniugata con i valori dello sport e del tifo.

Quanto è stimolante ad esempio l’eroicità del gesto atletico da dedicare e da vivere appieno nella relazione con l’Assoluto.

Nel borsone, oltre alle scarpe e ai ricambi, non mancava mai la Bibbia; padre innamorato, assieme alla moglie, ritiene fondamentale nell’educazione la Verità e l’Esempio.

Frequentatore abituale dei pellegrinaggi a Medjugorje, persona semplice ed onesta, ha fatto sempre della discrezione e della sobrietà i suoi biglietti da visita.

Con Batistuta ai tempi di Giovanni Paolo II organizzò incontri di approfondimento per i giocatori con la Santa Sede, per comprendere lo sport come veicolo trainante di valori, e come metafora di una vita sana, di corpo e anima.

Il prossimo Goal sicuramente lo dedicherà all’Assoluto, anche se non dal campo.

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