ABORTO: DELITTO NON DIRITTO (di Marco Invernizzi)

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Sono passati tanti anni dall’approvazione della legge 194 (1978) e dal referendum che l’ha confermata (1981). In questo tempo il diritto alla vita del concepito è progressivamente uscito di scena nel sentire comune, mentre per la gran parte delle persone, soprattutto per chi ha meno di 40 anni, l’aborto è rimasto forse “qualcosa di brutto” che però è stato sostanzialmente accettato. Accanto a questa maggioranza poco attenta al tema si sono create due minoranze; una abortista, che fa dell’aborto un diritto, anzi il diritto per eccellenza, come se fosse la bandiera di una certa visione del mondo; l’altra che, invece, combatte da allora in difesa della sacralità di ogni vita, soprattutto se innocente, e in particolare ha salvato in questi oltre 40 anni decine di migliaia di bambini con le attività dei Centri di Aiuto alla Vita.

Il problema di questa minoranza, alla quale mi onoro di appartenere, è come convincere la maggioranza che l’aborto non è un diritto, ma un delitto, cioè come fare comprendere a milioni di persone bombardate con astuzia (a volte) o con violenza verbale (in altre circostanze) dalla propaganda abortista che, in qualsiasi situazione drammatica si possa venire a trovare una donna tentata di abortire, nel suo grembo c’è comunque un bambino.

La cosa non è facile. Urlare la verità può essere controproducente per raggiungere l’obiettivo. Ma negare la verità è addirittura peggio. Dire, come ha fatto il vescovo mons. Vincenzo Paglia, che la legge 194 è un «pilastro della nostra vita sociale» significa scandalizzare e offendere, al di là delle intenzioni, chi contro questa legge si è battuto nel referendum del 1981, in primis la Chiesa italiana, il Movimento per la vita e tutti coloro, cattolici e non, che continuano a ritenerla una legge iniqua.

Questo non significa che la sua abrogazione sia all’ordine del giorno, perché non ci sono i numeri in Parlamento per poterlo fare e soprattutto non è stato ancora creato il necessario consenso nella società per potere abrogare o almeno modificare una legge sbagliata. Ma questo non significa cambiare il giudizio, e così confondere, soprattutto se si ha la responsabilità della Pontificia Accademia per la vita. Certo, è sbagliato cercare lo scontro e non tentare la strada della persuasione ed è immaginabile la pressione di un ambiente come la Rai, e Rai 3 in particolare, dove verosimilmente le opinioni a favore della vita sono al minimo. Però tutto questo sforzo meritorio per costringere gli abortisti a riflettere, a rendersi conto della posta in gioco, se non deve passare attraverso un atteggiamento isterico a favore della vita non può nemmeno diventare una forma di rinuncia alla verità. È verissimo, infatti, ciò che ha aggiunto mons. Paglia, e cioè che la legge 194 prevede anche delle parti a sostegno della maternità che non sono mai state attuate e che sarebbe bene invece applicare, ma questo non può fare dimenticare l’insieme della legge, che legalizza la soppressione di un innocente, né il clima culturale in cui si arrivò al referendum nel 1981, che oltre ogni ragionevole dubbio ci ricorda come quella fu un’autentica battaglia di civiltà fra due antropologie contrapposte.

Detto questo, rimane il problema. La battaglia per la vita non deve essere ridotta a una battaglia contro una legge. Chi lo fa pregiudica l’esito finale. Né deve diventare l’ennesimo pretesto per dividere, soprattutto dentro la Chiesa. Sarebbe ora di smettere di considerare come dei pasdaran coloro che si battono ogni giorno per salvare delle vite e ricordano come la legge che autorizza l’omicidio non può essere una “buona legge”, così come bisogna smettere di criticare chi cerca attraverso il dialogo di aprire delle brecce nel fronte abortista. L’unica certezza è che la vita innocente è sempre sacra e che la legge 194 è iniqua, che l’aborto è un dramma, ma non si risolve un problema affittando un sicario, come ha detto il Santo Padre. Per tutto il resto, Dio ci aiuti a trovare le modalità giuste per ribaltare un consenso che al momento, purtroppo, non è favorevole al diritto alla vita.

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