ADIOS FIDEL. FEDE E DISSENSO NELLA CUBA DEI CASTRO

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“Picchiato a morte dalla polizia. La denuncia dei dissidenti cubani”.

Così titola il Corriere della Sera di lunedì 9 maggio a pagina 17 a proposito di uno dei tanti episodi di violazione dei diritti umani, che ha avuto per vittima il dissidente Juan Wilfredo Soto.

Ultimo regime militare totalitario e dinastico del Sudamerica, guidato da due ottuagenari: questa oggi è Cuba.

Dalla lontana Rivoluzione del 1959, che scalzò Fulgencio Batista, l’isola ha ormai tre generazioni di dissidenti: quella dei giovanissimi (tra i 16 e i 35 anni) che sa fare uso delle nuove tecnologie informatiche; quella dei giovani (36-55 anni) e quella dei veterani (dai 56 ai 76 anni).

Tale tripartizione è opera di Guillermo Coco Farinas, psicologo e giornalista di 50 anni, uno dei più famosi oppositori al regime castrista, che con il suo sciopero della fame – ad oltranza – ha più volte rischiato la vita (e tuttora ha gravi problemi di salute). Nel dicembre del 2010 ha ricevuto il Premio “Sacharov” dal Parlamento europeo.

Farinas ha curato la prefazione di un recente libro su Cuba scritto a due mani da Lucia Capuzzi e Nello Scavo, entrambi giovani giornalisti del quotidiano Avvenire: “Adiòs Fidel. Fede e dissenso nella Cuba dei Castro”, (Edizioni Lindau, Torino, 2011, pagg. 190).

Secondo Farinas le tre generazioni di dissidenti hanno modi diversi di ribellarsi al regime.

I veterani sono in genere sfiduciati per le grandi privazioni subite: “…Da anni affrontano tradimenti, torture e finte esecuzioni, un metodo molto usato dal governo in passato. Essi si dedicano soprattutto ad elaborare documenti di denuncia.” (pag. 5).

I giovani cercano di riappropriarsi della piazza, come fanno, per esempio, le Damas de Blanco, il famoso gruppo di mogli, madri, fidanzate dei prigionieri politici che, sfilando in silenzioso corteo, sfidano le ire della polizia politica e spesso ne subiscono gli attacchi e le violenze, specie quando gli squadristi castristi pateticamente si camuffano da contro-manifestanti…

I giovanissimi, infine, tentano di destabilizzare il totalitarismo castrista attraverso l’uso intelligente delle nuove tecnologie, anche se non disdegnano di far circolare volantini di denuncia per strada… Un esempio significativo è rappresentato dalla blogger Yoani Sanchez, oramai famosa in tutto il mondo, che usa internet con grande audacia per far conoscere, in tempo reale, le vessazioni commesse dal castrismo.

Ma soprattutto, dice Farinas, giovani e giovanissimi sarebbero ingrati se non riconoscessero l’impegno, il sacrificio, le sofferenze dei veterani. “Questi ultimi, infatti, combattono da mezzo secolo la dittatura e hanno sopportato pressioni feroci…quando nessuno era disposto ad ascoltarli. La Patria nuova a cui aspiriamo deve nascere dall’unione e dal lavoro di tutte le forze democratiche. Di qualunque età…” (pag. 6).

Questa precisazione di Farinas è una necessaria chiave di lettura per affrontare il testo, che, raccogliendo tutte le principali voci del dissenso, è una splendida denuncia del volgare trasformismo castrista.

Gli Autori, però, talora sembrano voler prendere le distanze dall’opposizione storica – soprattutto quella che da anni trova rifugio in Florida, che non solo è anti-castrista ma pure lucidamente anti-comunista –, a favore di quella rappresentata da giovani e giovanissimi, considerata forse un’opposizione più pacifica e pragmatica.

Farinas, dunque, nella prefazione rimette le cose a posto, mentre nel corso dell’intervista rilasciata a Capuzzi e Scavo, invita a diffidare di Raul Castro, perché “La repressione e le minacce contro i dissidenti continuano. Anzi, negli ultimi mesi si sono fatte ancora più spietate: le aggressioni contro gli oppositori si sono moltiplicate. I diritti umani non sono rispettati…” (pag. 164).

Il volume svela lo stato disastroso dell’economia cubana, cagionato dalle obsolete concezioni marxiste: “Nelle industrie di Stato ci sono 12.000 guardiani per impedire agli 8.000 operai di rubare merci e macchinari. La metà delle terre coltivabili in mano alle aziende di Stato è improduttiva e il Paese deve importare l’80% degli alimenti. “(pag. 22).

Allora “cambiare tutto, perché tutto resti com’è” sembra il nuovo necessario leitmotiv di quel che resta dell’attempata classe dirigente rivoluzionaria. Da Raul Castro in giù tutti ne sono consapevoli. Gli spiragli di apertura introdotti finora (possibilità di dormire negli alberghi riservati ai turisti o di acquistare taluni elettrodomestici e anche un cellulare o un PC) sono ben lontani dal toccare i punti dolenti del sistema cubano: il divieto di uscire dall’isola senza autorizzazione, la corruzione della burocrazia, il dissesto finanziario. Oltre all’assenza di libertà di stampa e di associazione: in una parola, di democrazia (pag. 29).

Negli ultimi anni Raul è stato costretto – dal dissesto economico e dagli insuccessi dell’economia pianificata – a promuovere gli investimenti esteri e ad incentivare forme approssimative di attività private. Il documento programmatico di politica economica e sociale presentato al VI congresso del partito comunista, tenutosi nello scorso aprile, promuove gli investimenti esteri, mira ad espandere il settore privato e tende al pareggio di bilancio. Ma chiarisce anche che tutte le riforme avverranno nel contesto del sistema socialista: “…la politica economica della nuova fase si armonizzerà con il principio che solo il socialismo è in grado…di conservare le conquiste della Rivoluzione” (pag. 34).

Da un certo punto di vista, insomma, si vuole seguire il modello cinese: ferreo controllo politico sulla società civile coniugato ad una parziale liberalizzazione economica. Intanto a farne le spese è la popolazione, che si vede ridotta drasticamente la razione di cibo e di generi di prima necessità reperibili nei negozi di Stato attraverso la tessera di razionamento.

Tenendo conto che il salario medio di un cubano (per chi ha la fortuna di avere un lavoro) è di circa 20 dollari al mese, la tessera (la cosiddetta libreta) era tutto sommato una garanzia minima per non morire di fame: “La libreta è il quarantennale simbolo del paternalismo di Stato” (pag. 34), destinata prossimamente a scomparire.

Così oggi se non fosse per l’alleanza ideologica con Hugo Chavez, presidente-dittatore del Venezuela, che garantisce in nome della Rivoluzione cospicui flussi di petrolio e di denaro, Cuba sarebbe sull’orlo del baratro (pag. 30). Chavez ha preso il posto dell’Unione Sovietica come principale puntello del socialismo tropicale. Il flusso enorme di dollari per investimenti che da Caracas giunge a L’Avana spiega i risultati – per certi versi sorprendenti – relativi all’aumento del PIL registrati nel triennio 2005-2007. Oltre ad Hugo Chavez, i fratelli Castro possono contare, soprattutto in funzione anti-americana, su altri due alleati strategici: la Bolivia di Evo Morales e il Nicaragua di Daniel Ortega. Fra i nuovi alleati e sponsor di L’Avana ovviamente vi è proprio la Cina, che nel settembre 2009, “…avrebbe concesso a Cuba prestiti per 600 milioni di dollari…Ecco perché, parametri economici a parte, Cuba continua a sopravvivere a venti anni dallo sgretolamento dell’Unione Sovietica.” (pag. 48).

In ogni caso sono le Forze armate rivoluzionarie e socialiste a controllare, per i due terzi, l’economia cubana, mentre da sempre la propaganda castrista assegna all’embargo statunitense, il cosiddetto bloqueo, la responsabilità dello stato di povertà dell’isola. Contrariamente a quanto generalmente si pensa – viene ricordato nel libro – il bloqueo è il risultato di tre leggi volute dai democratici (e non dai repubblicani!) statunitensi. Al di là degli aspetti economici del blocco, comunque facilmente aggirabili dal regime, il bloqueo resta una formidabile arma di propaganda ideologica in mano ai fratelli Castro, continuamente ripresa da giornalisti e intellettuali progressisti di mezzo mondo, inguaribili nostalgici dei “barbudos” e della “revolucion”.

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