CHI SONO GLI SCIITI D’IRAQ (Corriere del Giorno, 6 aprile 2005, pag.5)

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petrolio.jpg SIGNORI DEL PETROLIO ASPETTANDO IL SUPREMO IMAM

Il concetto di “democrazia esportata” in Iraq potrebbe avere conseguenze imprevedibili. Con la vittoria alle libere elezioni del 30 gennaio scorso gli Sciiti, largamente maggioritari nel Paese e storicamente schiacciati dal predominio sunnita di cui il regime di Saddam Hussein era espressione, hanno ora le carte in regola per diventare una potenza religiosa e politica nell’intero scacchiere mediorientale.
Così dopo l’Iran degli ayatollah, con le loro agguerrite propaggini nel Libano del Sud, oggi anche l’Iraq di Alì Sistani si appresta a porsi nel solco della tradizione sciita, che da sempre piange la morte del califfo Alì, avvenuta nel 661.

Alì era cugino nonchè genero di Maometto, in quanto ne aveva sposato la figlia Fatima. Nella storia dell’Islam è considerato come l’ultimo dei quattro “califfi ben guidati”, e cioè di quei successori che avevano avuto il privilegio di trovarsi nel più ristretto entourage del Profeta. Ma Alì riuscì a governare solo per pochi anni: contro di lui si impose ben presto la dinastia degli Umayyadi, che rappresentavano l’ Islam cittadino e sedentario rispetto a quello legato al nomadismo tribale. Gli Umayyadi, o Omayyadi, traevano origine proprio da quelle famiglie meccane che per ultime si erano sottomesse a Maometto. I seguaci di Alì, sconfitti, diedero quindi vita alla grande famiglia degli Sciiti (Shi’at ?¢‚ǨÀúAli, che significa la fazione di Alì).

Nonostante le lotte interne e di successione, nulla sembrò comunque fermare lo slancio combattivo ed aggressivo dei Musulmani. Durante il regno di Mu’awiyya (661-680), vincitore di Alì e primo califfo della dinastia Omayyade, furono gettate le basi per le future campagne militari: la capitale fu spostata a Damasco, capoluogo della ex provincia bizantina e città vicina al bacino mediterraneo. Da quel momento terminava anche il modo “democratico” di elezione del califfo, la cui scelta, dopo Mu’awiyya, avvenne per via ereditaria: gli successe infatti il figlio Yazid. Come il padre Mu’awiyya aveva sconfitto Alì, così Yazid nel 680 massacrò Husain, uno dei due figli di Alì, insieme a 72 suoi fedelissimi. Questo episodio, avvenuto a Karbala nell’attuale Irak, segnò la frattura definitiva fra l’islam sunnita rappresentato dagli Omayyadi e dai loro successori e quello sciita, sconfitto e perseguitato.

Da allora le principali differenze cristallizzatesi fra i due gruppi riguardano soprattutto l’atteso ritorno del “supremo imam” degli Sciiti, in contrapposizione al califfo dei Sunniti: mentre per questi il califfo è solo il sovrano temporale incaricato di proteggere la religione, l’Imam supremo atteso dagli Sciiti possederebbe una scienza sovrumana, cosa che per i Sunniti è pura eresia.

Nell’attesa millenarista del ritorno dell’Imam supremo, gli Sciiti nell’immediato futuro si preparano a gestire risorse petrolifere pressocchè incalcolabili, a cui andranno ad aggiungersi, se qualcuno non li fermerà, quelle nucleari dell’Iran. Si è detto che gli Sciiti ircheni, nel complesso, siano più “moderati” rispetto ai cugini iraniani: lo speriamo. Comunque stiano le cose da ora in avanti la politica internazionale sarà chiamata a confrontarsi in modo sempre più incalzante con i discendenti di Alì.

Roberto Cavallo

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