CINA: TRAFFICI DI MORTE (Il Corriere del Sud, n° 5/2008)

1182

copj13asp.jpg “…Circondato da una dozzina di persone, il condannato fu trascinato fino alla porta dell’ obitorio, dove gli fu or dinato di stendersi con l a f accia a terra. Poi uno degli ufficiali giudiziari sparò alla nuca un colpo preciso e pulito…Dopo l’esecuzione il cuore venne espiantato e trapiantato su un paziente”.

Questa scena in Cina è destinata a ripetersi centinaia, forse migliaia di volte all’anno. E’ la pratica dei trapianti di organi espiantati da giovani prigionieri con dannati alla pena capitale. La legge cinese impone il consenso al trapianto da parte del condannato-donatore. Ma è solo una farsa ipocrita, perché, come denunciato da Amnesty International e da altre organizzazioni umanitarie internazionali, il detenuto in Cina vale meno di niente. Specie per certi tipi di condanne – quelle di natura politica – tutto è possibile: la tortura, il ricatto, le minacce. Dunque che senso ha parlare di “consenso” quando gli elementari diritti della difesa vengono a mancare? Un reportage della CNN dell’11 febbraio 2007 segnalava: “… parliamo di condannati a morte che possono essere soggetti a qualunque pressione , e quindi il loro non può essere un gesto volontario”.

Per denunciare in modo sistematico tale realtà, testimonianze e documentazione sono state raccolte nel recente volume pubblicato dalle Edizioni Guerini e Associati (CINA: Traffici di morte. Il commercio degli organi dei condannati a morte, a cura di Maria Vittoria Cattanìa e Toni Brandi, 2008, Milano, pagg. 205, euro 21,50). Il libro colleziona in modo organico le informazioni esistenti e sparse per il mondo, atte a descrivere compiutamente tale raccapricciante pratica.

La nostra storia inizia dal numero delle condanne a morte comminate in Cina: dati ufficiali non ne esistono, perché la materia è volutamente coperta dal segreto di Stato. L’Agenzia Reuters ed Amnesty International hanno calcolato diverse migliaia di esecuzioni all’anno, probabilmente 8-10.000. Per l’Unione Europea sono sicuramente oltre 5.000.

Le condanne avvengono al termine di processi sommari. Nonostante una recente riforma – attuata sull’onda della pressione internazionale – abbia disposto l’obbligo di sottoporre le sentenze capitali alla revisione della Corte Suprema, è impensabile che tale organismo possa vagliare un così grande numero di sentenze: “Quanti Corti supreme occorrerebbero in un paese con 1.300.000 abitanti?” (pag.12). Elemento invece non trascurabile è che i tribunali locali non possono prescindere dalle direttive e dalla vigilanza del partito comunista di zona.

Le sentenze capitali di solito vengono eseguite mediante fucilazione, dopo aver avuto cura di raccogliere un numeroso pubblico appositamente convocato. Fra studenti universitari e scolaresche di scuole medie, presenziano anche i parenti dei condannati, che sono obbligati dalle autorità a corrispondere il costo delle pallottole usate per ammazzare i loro congiunti. Il Parlamento Europeo nel febbraio del 2007 ha chiesto un’immediata moratoria sulla pena di morte e ha dichiarato che circa il 91% del totale mondiale di esecuzioni capitali avviene in Cina.

Se incutere paura al popolo è il primo scopo delle esecuzioni, il secondo è l’espianto di organi freschi a scopo di vendita, spesso senza il consenso (o comunque estorto) delle vittime e dei parenti. Migliaia di fegati, reni e cornee cinesi sono immessi nel mercato internazionale del traffico d’organi. Secondo le organizzazioni umanitarie internazionali (Amnesty International, Human Rights Watch, Laogai Research Foundation) la gran parte di tali organi deriva dai cadaveri dei condannati a morte. Spesso i medici incaricati dell’espianto sono sul luogo dell’esecuzione mentre il prigioniero è ancora vivo. “Dopo”, gli organi vengono prelevati e trasportati nel più vicino ospedale per l’intervento sul paziente ricevente. Dal 1984, con l’evolversi delle conoscenze scientifiche in tema di trapianti, sono stati almeno 100 gli ospedali cinesi coinvolti in tale macabra pratica. Soltanto nel dicembre del 2006 qualche esponente del regime cinese ha riconosciuto che la quasi totalità degli organi umani venduti viene espiantata da corpi di prigionieri uccisi.

Nonostante ciò, il binomio condanne a morte/trapianti non conosce soste, e anche per questo i curatori del volume propongono più decisi interventi da parte della comunità internazionale. Non basta che il Congresso degli Stati Uniti e il Parlamento Europeo si siano pronunciati sull’argomento: bisogna quanto meno impedire che le multinazionali del farmaco continuino a commerciare in Cina quei prodotti necessari a far funzionare i trapianti d’organi. Almeno fino a quando la pratica dei trapianti non rispetterà i protocolli etici vigenti nella comunità internazionale, cessando di essere uno strumento per far soldi o per tutelare la vacillante s alute dei mandarini comunisti al potere.

Le fotografie delle esecuzioni e i documenti riportati in appendice arricchiscono questo volume, che merita di essere letto e soprattutto diffuso.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui