Mosca (AsiaNews) – Il 29 ottobre si è tenuta la commemorazione delle vittime delle persecuzioni nel periodo sovietico, il rituale della “Restituzione dei nomi” (Vozvrašcenie imen), che tra il 2007 e il 2019 si è svolto regolarmente in tutte le città della Russia a cominciare da Mosca, davanti alle lapidi con le liste dei nomi proclamati solennemente dai loro discendenti o rappresentanti. A fine ottobre in Russia possono già cominciare le nevicate e le gelate invernali, ma fin dal primo mattino si formavano lunghe code davanti ai luoghi della memoria, che si succedevano fino a tarda sera soprattutto a Mosca nei pressi del palazzo della Lubjanka, storica sede del Kgb.
Negli anni del Covid queste manifestazioni sono state sospese e organizzate soltanto on-line, mentre con l’invasione dell’Ucraina i divieti si sono aggravati per le accuse di “discredito” delle forze dell’ordine e dell’esercito russo, in un regime sempre più regredito ai tempi e ai sistemi staliniani.
Oltre alla lista dei 40 mila fucilati degli anni Trenta del terrore nei corridoi della Lubjanka, a Mosca si aggiungono sempre più nomi di persone finite sotto il maglio del terrore putiniano, a cominciare dal martire Aleksej Naval’nyj.
I nomi degli oppressi risuonano “come scintille nella notte”, come commenta l’editorialista di Radio Svoboda Sergej Medvedev, evocando i tribunali sottoposti agli ordini della CeKa, Gpu, Nkvd e Kgb, e oggi del Fsb, arresti e torture, avvelenamenti e uccisioni.
Anche quest’anno, nonostante i divieti e le limitazioni, la celebrazione si è tenuta in oltre 100 città in Russia e all’estero, radunandosi in luoghi e tempi diversi da quelli usuali per eludere i controlli di polizia come a San Pietroburgo, dove gli agenti sono arrivati in ritardo riuscendo ad arrestare comunque qualche partecipante, minacciando di applicare accuse di “azioni inammissibili che creano le condizioni per violazioni della legge”.
A Mosca alla Pietra delle Solovki, che fu innalzata più di 30 anni fa nei pressi della Lubjanka, è stata proibita qualunque manifestazione di massa con la giustificazione ormai farsesca di “prevenzione del coronavirus”, e si sono potuti radunare soltanto alcuni diplomatici stranieri insieme a un gruppo di rappresentanti della disciolta associazione Memorial. Molto più partecipate sono state le celebrazioni a Praga, dove sulla via Uezd sono stati ricordate le migliaia di cittadini cecoslovacchi insieme ai russi perseguitati, compresi i prigionieri politici tuttora detenuti nei lager putiniani.
L’agenzia russa della censura Roskomnadzor ha bloccato nelle settimane scorse tutti i siti in cui si invitava alla “Restituzione dei nomi”, e in ogni caso gli attivisti di Memorial in Russia e all’estero trasmettono le iniziative su YouTube.
La memoria delle vittime è stata fortemente smantellata in Russia anche dalle recenti leggi sulla “verità storica”, una formula inserita nella costituzione putiniana del 2020, che eliminano dalle liste dei riabilitati tutti coloro che sono sospetti di “riabilitazione del nazismo”, soprattutto le vittime di nazionalità ucraina, polacca, finlandese o giapponese.
Parlare di “terrore e repressioni staliniane” è considerata sempre più una “formula antistatale” da evitare, e in generale la memoria del passato diventa uno spazio sempre più difficile da assumere a livello sociale, essendo la “storia millenaria della Russia” un patrimonio intangibile del regime vigente, a livello politico, culturale e religioso.
Dopo le giornate della memoria le autorità di Mosca hanno comunicato che è in progetto la rimozione della Pietra della Lubjanka per “lavori di ristrutturazione” della piazza, suscitando molte proteste subito soffocate. Come afferma Medvedev, “anche se la toglieranno veramente, per coloro che sanno, ricordano e provano ancora dei sentimenti, la Pietra delle Solovki rimarrà sempre ben salda nel proprio cuore”. Gli oppositori all’estero Ilja Jašin, Vladimir Kara-Murza e Julia Naval’naja hanno annunciato che il 17 novembre si terrà a Berlino una grande manifestazione contro la guerra, una marcia per chiedere di ritirare le truppe russe dall’Ucraina, giudicare Vladimir Putin come criminale di guerra e liberare tutti i prigionieri politici detenuti in Russia.
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