DOPO L’89: CHIESE E CULTURE NELL’EST EUROPEO

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CHIESE CULTURE ESTAd oltre 20 anni dalla caduta del Muro di Berlino, che cosa è successo dal punto di vista religioso nei Paesi dell’Est?

Quanto è sopravvissuto del sacro nell’ex impero comunista, programmaticamente costruito sull’avv ersion e a Dio e ai suoi fedeli?

Che ne è stato delle chiese a suo tempo sequestrate, spogliate, trasformate in musei o in magazzini?

Non è facile rispondere a queste domande.

Se nel nostro Occidente ancora non si conosce molto della transizione dal socialismo al liberalismo avvenuta nei paesi posti al di là dell’ex “cortina di ferro”, ancor meno si sa delle locali situazioni religiose. Per i cattolici in particolare questo non è un bene, se è vero che già Papa Giovanni Paolo II invitava il popolo di Dio a respirare con due polmoni: quello della spiritualità latina e quello della spiritualità orientale.

Per conoscere le nuove realtà geopolitiche dell’Est bisogna immergersi nelle storie e nelle culture dei popoli, che, per mezzo secolo (70 anni per la Russia) ingessate dal socialismo scientifico, ritornano ora vivacemente alla ribalta. E la cultura di questi popoli non può prescindere dal dato religioso, soprattutto nella sua versione cristiana, visto che intere nazioni slave sono nate proprio sulla scia dell’evangelizzazione, come ricorda lo stesso Giovanni Paolo II nella Lettera enciclica Slavorum Apostoli, dedicata ai Santi Cirillo e Metodio, primi evangelizzatori dell’Europa slava e attualmente compatroni d’Europa insieme a San Benedetto.

Iniziamo allora dai numeri (1).

In Europa orientale esistono differenti Chiese e confessioni cristiane. Maggioritaria è la comunità ortodossa, con circa 165 milioni di persone che s’identificano nell’ortodossia; appartengono al vasto mondo russo ed ex sovietico, allo spazio rumeno, serbo, greco, bulgaro, ma anche a minoranze e a diaspore in Paesi prevalentemente cattolici o protestanti, come Estonia, Polonia, Slovacchia.

La seconda presenza confessionale dal punto di vista quantitativo è quella cattolica latina, forte di circa 65 milioni di fedeli, soprattutto polacchi e ungheresi, cechi, slovacchi, croati, sloveni, lituani. Ci sono poi i cattolici orientali – circa 6 milioni – la gran parte dei quali sono Ucraini della regione di Leopoli, con una significativa presenza in Romania.

I protestanti nell’Europa orientale si presentano quanto mai frammentati in svariate denominazioni e nell’insieme contano una decina di milioni di persone: si va dagli eredi cechi dell’hussitismo ai luterani, dai metodisti ai battisti, dagli avventisti ai mormoni, senza tralasciare l’ampia galassia del pentecostalismo.

Più in generale quelli dell’Europa orientale sono territori in cui per secoli hanno vissuto insieme popolazioni di lingua, cultura, religioni diverse (in Russia ci sono significative minoranze musulmane, buddiste ed anche giudaiche): la coabitazione è maturata all’ interno di strutture statali imperiali o comunque sovranazionali.

 

La fine del comunismo

arcipelago_gulagNei primi tempi dopo la fine del comunismo c’è stata un’ondata di adesione al cristianesimo, nelle sue varie confessioni, in tutto l’Oriente europeo. La pratica religiosa è cresciuta ovunque; si sono avuti ritorni in massa alle Chiese con “conversioni” individuali. In Russia, scrive il Prof. Roberto Morozzo della Rocca, nessuno osava più dichiararsi ateo per non essere identificato con il comunismo. (Chiese e culture nell’Est europeo. Prospettive di dialogo, pag. 39).

Ma passato qualche tempo è iniziato un deflusso dalle Chiese, anche nei paesi a più alto tasso di pratica religiosa, come la Polonia: “A dieci anni dalla svolta del 1989 già si notava una generale crisi delle Chiese e delle comunità religiose dell’Est…” (ibidem, pag. 39).

In realtà in Russia le statistiche attestano che a fronte dell’80% di Russi che si dichiarano ortodossi, di questi appena la metà si profe ssa credente in Dio. Ciò significa che si appartiene automaticamente a una fede perché si appartiene a una Nazione. In tali termini si esprimeva anche Vsevolod Chaplin, presidente del Dipartimento sinodale russo per i rapporti tra Chiesa e società: “Ritengo…che oggi è necessario edificare non tanto i luoghi di culto, già costruiti o riparati in buon numero, quanto l’anima delle persone.” (cfr.:Elogio dell’essenziale e del dialogo, di Giovanni Cubeddu e Fabio Petito, in: 30GIORNI, N°6/7-2009, pag. 67)

Indubbiamente il lascito morale del passato comunista è pesantissimo: è estremamente difficile ri-cristianizzare generazioni cresciute nella completa ignoranza della religione e sprovviste di una grammatica spirituale interiore. Ciò è particolarmente evidente, per esempio, in Albania, dove il partito comunista perseguì con cipiglio una politica di assoluta ateizzazione (arrivando a proclamare ufficialmente nei princìpi fondanti della Costituzione che “l’Albania è uno Stato ateo”, primo caso al mondo). Ma anche in Romania fiorenti comunità monastiche e grandi scuole teologiche hanno conosciuto la persecuzione e la dispersione.

Il clero superstite, in generale, si è trovato culturalmente impreparato alla nuova sfida, con la sola eccezione di quello cattolico, più capace di quello ortodosso a gestire i processi della modernità. Alla pesante eredità dell’ateismo marxista si aggiunge, infatti, l’invasione delle peggiori abitudini dell’Occidente: la televisione satellitare con la forza oppressiva della pubblicità e della pornografia, il problema della droga, il proliferare delle mafie.

 

L’Ortodossia

ortodossi-029Abbiamo visto che con i suoi 165 milioni di fedeli la Chiesa ortodossa è la maggiore forza spirituale dell’Est. Essa non ha, al pari del cattolicesimo, un’organizzazione ecclesiale unitaria e centralizzata, ma è costituita da un insieme di Chiese autonome (autocefale), ognuna delle quali ha giurisdizione sul proprio territorio.

La vera unità dell’ortodossia deriva quindi dallo spirito di comunione che anima tali Chiese (stessa fede dogmatica, medesimo rito liturgico, stessa disciplina ecclesiastica). A capo delle singole Chiese ortodosse vi è un sinodo dei vescovi, presieduto da un patriarca o, nel caso di Chiese ortodosse non patriarcali, da un vescovo maggiore. Le singole Chiese ortodosse in genere si sono sviluppate in stretta simbiosi con le popolazioni che di volta in volta venivano alla fede cristiana: così oltre al patriarcato ecumenico di Costantinopoli si sono affermati a partire dal Medioevo il patriarcato bulgaro di Ocrida, il patriarcato serbo di Pec, il patriarcato russo di Mosca (1589). Nel XIX secolo con la liberazione dal dominio ottomano anche le Chiese ortodosse della Grecia e della Romania si sono strutturate autonomamente reclamando la loro indipendenza dal patriarcato ecumenico di Costantinopoli. E’ da notare come l’impero ottomano, in funzione antidisgregatrice, abbia sempre agito per conservare il primato in capo al patriarcato ecumenico di Costantinopoli, salvo poi tiranneggiarlo per i propri disegni politici.

Oggi in Europa orientale e sud-orientale vi sono in totale 12 Chiese ortodosse, di cui cinque hanno rango patriarcale: la Chiesa ortodossa russa, la Chiesa ortodossa bulgara, la Chiesa ortodossa serba, la Chiesa ortodossa romena e la Chiesa ortodossa di Georgia.

A parte il patriarcato di Mosca e quello ecumenico di Costantinopoli (ormai privo, però, di un popolo di fedeli, in quanto la locale comunità cristiana nel corso del XX secolo è stata decimata dai governi turchi, tanto di stampo religioso che laicista), le altre Chiese ortodosse hanno una giurisdizione canonica che sostanzialmente coincide con lo Stato nazionale di appartenenza.

 

Russia: prove di cesaro-papismo

codev_zar_patrA differenza che in passato, oggi le correnti spirituali più vive della Russia si trovano negli ambienti urbani: “…è nelle città che la fede si fa libero mercato, come in Occidente.” (Chiese e culture nell’Est europeo. Prospettive di dialogo, pag. 35).

Dinanzi al libero “mercato delle religioni”, inauguratosi nei primi anni ’90 con la fine del comunismo, la Chiesa ortodossa russa si è mantenuta sulla difensiva, anche rispetto alla Chiesa cattolica, che pure è considerata “sorella”. 

Il prof. Andrea Pacini, docente di teologia delle Chiese orientali e di teologia ecumenica presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, è dell’avviso che “…è certamente oggi inconcepibile sostenere – come in effetti fa la Chiesa russa – un concetto di territorio canonico inteso come feudo esclusivo della Chiesa ortodossa russa, in cui le altre Chiese sono sostanzialmente tollerate solo se mantengono un basso profilo istituzionale ed esercitano la loro missione pastorale nell’ambito di una popolazione definita con criteri etnico-religiosi.” (Chiese e culture nell’Est europeo. Prospettive di dialogo, pag. 99).

E’ un implicito invito affinché la Chiesa russa si apra alla collaborazione pastorale.

Di fatto la Chiesa ortodossa russa oggi è largamente favorita dallo Stato, soprattutto dopo l’entrata in vigore della legge federale del 1997 sulla libertà di coscienza e sulle associazioni religiose.

Secondo l’interessante studio condotto dal prof. Giovanni Codevilla, autore del volume “Lo zar e il patriarca. I rapporti tra trono e altare in Russia dalle origini ai giorni nostri” (Edizioni La Casa di Matriona, 2008, pagg.517), la legge del 1997 fa un passo indietro rispetto all’ampia libertà di coscienza riconosciuta dalla Costituzione russa del 12 dicembre 1993. La legge federale del 1997, infatti, non si limita – come è giusto che sia – a riconoscere il ruolo storico giocato dall’ortodossia in Russia (religione tradizionale), ma preclude in vario modo alle altre religioni considerate “non tradizionali” la possibilità di farsi conoscere e di espandersi (problema del cosiddetto proselitismo).

In particolare per la legge federale tutte le associazioni religiose che non potevano vantare una presenza legale in un dato territorio da almeno 15 anni, avevano sì il diritto di svolgere attività liturgica al loro interno, ma senza godere della possibilità di fondare istituti di educazione, di svolgere attività educativa nelle scuole, di produrre, esportare e importare materiale religioso, di svolgere attività di culto e di apostolato negli istituti di cura, detenzione ecc.

Il concetto di religione tradizionale, poi, viene strettamente ricollegato ad uno specifico territorio, così che, oltre all’ortodossia, sono di fatto considerate tradizionali, ma solo in relazione a determinati distretti geografici, anche l’islam, il giudaismo e il buddismo. Alcune repubbliche caucasiche, come per esempio la “strategica” Cecenia, hanno una forte connotazione musulmana (in tutta la Russia gli Islamici sono circa 20 milioni).

In questo modo, però, viene completamente tagliata fuori la religione cattolica, erroneamente considerata, al pari del protestantesimo, quale gruppo religioso di nuova formazione.

Il prof. Codevilla nel suo volume ricorda che, considerando la situazione al momento della presa di potere da parte dei bolscevichi, la popolazione cattolica della Russia contava quasi un milione e 600 mila fedeli, distribuiti in cinque diocesi. In totale, dunque, la Chiesa cattolica contava allora 538 parrocchie, più di 860 chiese, 786 sacerdoti. (Giovanni Codevilla, Lo zar e il patriarca. I rapporti tra trono e altare in Russia dalle  origini ai giorni nostri”, Edizioni La Casa di Matriona, 2008, pag.444).

Senza considerare poi la presenza dei greco-cattolici, numerosissimi nelle vaste aree circostanti e oggi appartenenti anche alle Repubbliche di Ucraina e Bielorussia. Dunque è quanto meno anomalo ritenere non  “tradizionale” la Chiesa cattolica in Russia.

E’ un dato di fatto che il legislatore, manifestando rispetto per le sole religioni che per legge vengono considerate tradizionali, finisce con il legittimare l’assegnazione ad esse di una posizione di privilegio. 

Il problema, in realtà, è che il governo Medvedev-Putin, in piena sintonia con il patriarcato di Mosca, finisce col fare di “tutt’erba un fascio”. Nel tentativo di bloccare per legge l’aggressività di certe sette (principalmente quelle di origine protestante, come i Testimoni di Geova, ma anche talune di chiara impronta satanica) limita la libertà d’azione anche alla comunità cattolica o alle denominazioni protestanti tradizionali.

Soprattutto si profila all’orizzonte – secondo l’autorevole opinione del prof. Codevilla – una nuova ipotesi di cesaro-papismo, particolarmente invisa alla stessa base dei credenti ortodossi. Ed infatti molti appartenenti all’apparato statale-burocratico, che fino a ieri davano sfoggio di ateismo sotto le bandiere comuniste, oggi sono accaniti sostenitori del principio della “sinfonia” dei poteri fra lo Stato e l’Ortodossia, fra lo Zar e il Patriarca.

Non a caso l’attuale patriarca Kirill durante il periodo sovietico, al contrario di milioni di suoi correligionari, godeva di ampia libertà di movimento e d’azione. 

In definitiva oggi in Russia l’ortodossia sembra profilarsi come “Chiesa di Stato”.

 

Il problema degli Uniati

I primi ortodossi a unirsi con Roma (da qui il termine dispregiativo di “uniati”) furono quelli presenti nelle diocesi dell’Ucraina orientale, con a capo la metropoli di Kiev, al sinodo di Brest del 1596; poi vennero i ruteni trans-carpatici con l’unione di Uzhorod del 1652; infine fu la volta dei romeni di Transilvania ai due sinodi di Alba Iulia del 1698 e del 1700. Furono tutte unioni parziali, che però assunsero, come base dogmatica e disciplinare, il decreto che al Concilio di Firenze (1438-39) aveva sanzionato l’unione totale con tutta la Chiesa ortodossa. Anche se quell’unione con l’intera ortodossia durò poco, costituì comunque un precedente di straordinaria importanza. Questo significa che i vescovi che entrarono, in tutte le occasioni successive al Concilio di Firenze, in comunione con Roma, non si ritennero mai dei traditori dell’ortodossia, ma si sentirono i successori di quei vescovi orientali che a Firenze avevano – con convinzione – sottoscritto l’unione, rimanendovi poi fedeli fino alla morte. 

Gli ortodossi – anche a proposito degli uniati – hanno spesso accusato la Chiesa cattolica di indebito proselitismo. Ma il prof. Cesare Alzati, professore ordinario di storia del cristianesimo e delle Chiese presso l’Università cattolica di Milano, specialista di storia romena, dichiara: “La Chiesa romena unita (o greco-cattolica) non è, quindi, una proiezione dell’Occidente nel corpo dell’ortodossia; essa scaturisce anzitutto dalla scelta maturata nei vertici ecclesiastici, ma altresì in seno alla piccola nobiltà romena di Transilvania, di aderire alla comunione con Roma, per una serie di ragioni: religiose (la salvaguardia della propria tradizione), ma anche sociali (il riscatto civile, in particolare del clero).” (Chiese e culture nell’Est europeo, cit., pagg. 191-192).

Quali sono oggi i rapporti fra ortodossi e uniati?

Falce e martelloDopo la violenta cancellazione della Chiesa uniate e la sua incorporazione all’interno dell’ortodossia sancita dai regimi comunisti di Russia e Romania, la Chiesa uniate è risorta dalle ceneri della persecuzione. Restano aperte, specie in Ucraina, alcune questioni relative alla restituzione dei beni ecclesiastici a suo tempo confiscati dai comunisti e trasformati in magazzini o ceduti alla Chiesa ortodossa.

 

 

 

 

 

 

 

Le divisioni all’interno dell’Ortodossia

Bandiera_del_Patriarcato_di_Costantinopoli_dal_1261_al_1453Proprio fra i due patriarcati più illustri, quello di Costantinopoli e quello di Mosca, nel recente passato non sono mancati contrasti.

Da un lato il patriarcato ecumenico difende il proprio diritto esclusivo, contestato da Mosca, di concedere lo statuto di indipendenza a una nuova Chiesa ortodossa.

Il patriarcato di Mosca, dall’altra parte, svolge una funzione unificante nello spazio ex sovietico, in potenziale concorrenza con la pretesa universalistica del patriarca residente ad Istanbul. Kirill, patriarca di tutte le Russie, considera come suo territorio canonico non già la Russia propriamente detta, bensì tutte le terre un tempo incorporate nell’Unione Sovietica, entrando così in contrasto con Costantinopoli.

Comunque, nel luglio 2009 una visita in Turchia di sua santità Kirill al patriarca ecumenico Bartolomeo I sembra aver segnato il passaggio da un periodo di contrapposizione a un nuovo periodo di cooperazione, fondato sul reciproco rispetto e comprensione. (cfr.: 30GIORNI, n° 6/7-2009, pag. 35).

Tali tensioni non sono state le uniche a dividere il campo dell’ortodossia. In Ucraina, per esempio, vi sono tre Chiese ortodosse in contrasto fra loro; in Moldavia si fronteggiano due Chiese (una filo-russa e l’altra filo-rumena). 

Sembra che il rifiuto di riconoscere il primato romano dei successori di Pietro (come già nel campo protestante), nel tempo sia stato foriero di nuove e talora più aspre divisioni.

 

Gli zingari

Secondo il sito dell’Unione Europea i Rom presenti in tutta Europa sono fra i 12 e i 15 milioni, di cui 7-9 milioni vivono nel territorio dell’U.E.

Rappresentano quindi la più grande minoranza paneuropea. E’ dunque con questa grande minoranza che i governi europei si trovano a dover fare i conti, cosa tutt’altro che facile come dimostrano le recenti vicende francesi.

I Rom (parola che significa “uomini liberi”, come essi stessi si definiscono) vantano una forte presenza in Europa orientale, da cui provengono, e specialmente in Romania. Sono musulmani, ma anche cristiani.

Nella società cristiana medievale vi era un’alta considerazione per i poveri in genere, “…che erano visti come l’immagine di Cristo stesso. Sovente erano considerati gli intercessori privilegiati presso Dio, si riteneva che le loro preghiere attirassero benedizioni particolari sui benefattori” (cfr.: Alessandro Luciani, in: Chiese e culture nell’Est europeo, cit.., pag.285).

Tant’è che numerosi poveri pare che si facessero passare per zingari pur di trovare una buona accoglienza. Con la fine del Medioevo e l’inizio della Modernità l’atteggiamento cambia e diventa di aperta ostilità nei loro confronti. Soprattutto la simulazione delle infermità per ricevere l’elemosina viene avvertita come blasfema.

Così fra i Rom iniziano a fiorire una serie di leggende e di tradizioni forse create a bella posta per accattivarsi ancora la benevolenza della gente: molti si inventavano pellegrini verso Roma; altri si dichiaravano Egiziani in fuga dai Saraceni; alcuni zingari arrivarono perfino a raccontare di aver forgiato i chiodi per la crocifissione di Gesù e di essere stati condannati ad andare raminghi nel mondo per espiare tale peccato.

 

L’idea imperiale

Non estraneo al presente studio è un accenno ad un aspetto solo apparentemente “folcloristico” e assolutamente degno di nota.

Il prof. Adriano Roccucci a più riprese sottolinea l’importanza della categoria politica sovranazionale – o imperiale – quale corretta chiave di lettura per comprendere il passato, ma anche il presente, del mondo europeo orientale. L’impero bizantino, l’impero asburgico, l’impero polacco-lituano, l’impero russo nel passato hanno risposto a precise esigenze di popoli variegati e dai confini instabili.

Anche se l’esperienza del nazionalismo di matrice ottocentesca ha reso prevalente il concetto di Stato nazionale legato ad un’univoca tradizione etnica e religiosa (Serbi-Ortodossi, Russi-Ortodossi, Polacchi-Cattolici, ecc.), l’idea dell’impero tuttavia ha ancora un senso nell’Europa orientale e specie in Russia. Anzi, la Russia non ha quasi mai conosciuto la fase dello Stato nazionale, ma al suo interno ha coinvolto più popoli e più nazionalità, in un vero impero continentale multietnico. Anche l’estensione verso l’estremo oriente siberiano e il sud caucasico sono state vissute non al pari delle esperienze coloniali di stampo occidentale ma nel segno dell’inglobamento in una sorta di commonwealth russo, con un’estensione della cittadinanza russa.

Queste riflessioni del prof. Roccucci sono utili per un eventuale ripensamento dell’idea imperiale, svilita da secoli di speculazioni ideologiche tanto di stampo liberale che socialista: “…Gli imperi sono fenomeni di progresso, i separatismi sono fenomeni reazionari. Da una coscienza imperiale lo spirito umano viene ingrandito, da una coscienza separatista è rimpicciolito.” (Chiese e culture nell’Est europeo, A.V. Kartasev, citato dal Prof. Roccucci a pagina 416).

Da un certo punto di vista oggi è il patriarcato di Mosca a raccogliere l’eredità dell’idea imperiale russa: “La connessione tra ortodossia russa e dimensione imperiale ha continuato a essere un elemento significativo anche in età contemporanea, fino ai nostri giorni.” (Ibidem, pag. 419).

A livello politico i limiti e le carenze di organismi sovranazionali come l’U.E. o le Nazioni Unite spingerebbero a riconsiderare l’idea medievale e cristiana di impero.

 

Conclusioni

Oggi non è più possibile pensare l’Europa senza la sua parte orientale, così come non si può immaginare un suo futuro senza un rapporto di stretta cooperazione con la Russia (se mai con una Russia più democratica rispetto a quella dell’autocratico Putin!).

D’altro canto, anche i destini del cristianesimo in Europa sembrano essere sempre più dipendenti dall’avvicinamento tra Chiesa cattolica e Chiese ortodosse, nel cui quadro le relazioni tra Roma e Mosca sono determinanti. Dinanzi al mondo contemporaneo – scrive Adriano Roccucci – i rapporti fra Mosca e Roma sono un appuntamento decisivo per il futuro del cristianesimo.

A fronte della pressione musulmana, che spinge tanto sull’Europa occidentale (con l’immigrazione) che su quella orientale (attraverso il Caucaso e le Repubbliche centro-asiatiche), le risposte del secolarismo e del relativismo materialista appaiono intrinsecamente deboli e destinate a soccombere.

E’ dunque quanto mai urgente che il cristianesimo, pur nella ricchezza delle sue diverse tradizioni, ritorni a parlare con una sola voce per dare senso e contenuto all’Europa unita: per rinverdire le perenni e gloriose radici cristiane, secondo la straordinaria lezione del Servo di Dio Giovanni Paolo II, portata avanti oggi in perfetta continuità da Benedetto XVI.

Ma per fare ciò è necessario che l’idea imperiale russa, tanto nella sua versione socio-politica che religiosa, superi l’anacronistico isolamento di cui ancora oggi sembra prigioniera. 

fatimaForse non è un caso che anche nel messaggio di Fatima la conversione della Russia resta un passaggio chiave affinché il mondo abbia la pace.

 

Roberto Cavallo

 

 

NOTA

1 I dati in questione, come la maggior parte degli altri riportati nel presente saggio, sono ripresi dal volume “Chiese e culture nell’Est europeo. Prospettive di dialogo” (Edizioni Paoline, Milano, 2007, pagg. 419).  Curato da Adriano Roccucci, professore ordinario di storia contemporanea presso l’Università Roma Tre, il volume è arricchito dagli interventi di illustri studiosi e docenti universitari.

Tale lavoro è il risultato di un itinerario di formazione e riflessione culturale promosso dalla Commissione interregionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso Piemonte – Valle d’Aosta.

Sotto forma di saggi, sono presenti i contributi di studiosi, di testimoni e di osservatori che, con sensibilità culturale e profili intellettuali talora molto diversi (e dunque talora opinabili), hanno sviluppato percorsi di conoscenza degli universi culturali e religiosi dell’Est europeo.   

 


 

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