ETIOPIA: L’ULTIMO IMPERO CRISTIANO (Il Corriere del Sud, 2002)

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etiopia.gif Se si riflette su quale sia stato l’ultimo impero cristiano la memoria probabilmente corre fra Mosca e Vienna, che alla vigilia della 1^ Guerra Mondiale ancora conservavano, sebbene ridotte,vestigia e simbolismi cristiani all’interno della proprie strutture statali.


Difficilmente si penserebbe ad un grande Paese africano. E invece proprio nel cuore dell’Africa, in Etiopia, è sopravvissuto l’ultimo Impero cristiano fin quasi ai nostri giorni; ed esattamente fino a quando, nel 1974, un colpo di Stato condotto da un pugno di ufficiali filo-sovietici non spazzò via l’imperatore Hailè Selassiè e tutto ciò che egli rappresentava.

Per avere un’ampia panoramica dei rapporti fra Stato e Chiesa in Etiopia, ultima realtà politica ufficialmente “cristiana”, è di estrema utilità la lettura del libro di Paolo Borruso “L’ultimo impero cristiano” (Edizioni Angelo Guerini e Associati SpA, Milano, 2002, pagg. 379, Euro 29,00).
Nel capitolo 1° (Le radici apostoliche dell’Etiopia cristiana) viene raccontato come l’evangelizzazione dell’ Etiopia sia avvenuta grazie alla predicazione, nel IV sec.

d.C., del monaco siriano San Frumenzio, a ciò incaricato da Anastasio, Vescovo di Alessandria d’Egitto. Tale origine egiziana segnerà per sempre la vita della Chiesa d’Etiopia, che solo alla metà del XX° secolo, con l’autocefalia, reciderà il proprio legame di subordinazione dalla Chiesa copta egiziana: fino a quel momento l’Abuna (Patriarca) etiopico fu sempre un Vescovo egiziano direttamente nominato dal Patriarca di Alessandria d’Egitto.
Con la conversione del re Ezana, fra il 320 e il 335, il cristianesimo si saldò all’organizzazione statuale divenendo la religione ufficiale del Paese, originariamente limitato al Regno di Axum. Progressivamente esso si estese ad altri territori abitati da gruppi etnici dell’altopiano etiopico: i Tigrini e gli Amhara.

Le Sacre Scritture vennero tradotte in ge’ez, la lingua più diffusa dell’altopiano, e iniziò un movimento monastico di larghe dimensioni, ” che ebbe notevole influenza sugli orientamenti politici degli imperatori e stabilì uno stretto legame fra Stato e Chiesa”.
Dal VII secolo in poi l’Etiopia dovette fare i conti con la minaccia islamica, tanto da divenire ben presto un’isola cristiana nel mezzo di un mare musulmano. Contatti con il Mediterraneo cristiano, e non soltanto con l’Egitto, furono mantenuti in varie occasioni: nel 1439, per esempio, monaci e teologi etiopici si recarono al Concilio Ecumenico di Firenze quale atto di omaggio verso la Chiesa di Roma. Ciò non impediva di conservare la propria adesione ai dettami cristiani non calcedonesi, e cioè al monofisismo.
Uno dei momenti più difficili per la sopravvivenza dell’Etiopia cristiana si ebbe nel 1527, quando Ahmed ibn Ibrahim, detto Gram, e cioè il Mancino, conquistò all’Islam vasti territori dell’Abissinia. Scrive l’Autore: “L’invasione, con le conversioni forzate all’Islam, provocò distruzioni di monasteri e chiese cristiane, ma scompaginò anche l’ordine sociale su cui si era sviluppata la società etiopica “. L’eclissi del cristianesimo etiopico fu provvidenzialmente scongiurato dall’immigrazione delle genti Oromo, che, sebbene di fede musulmana, si misero per lo più a servizio degli Amhara cristiani, e comunque costituirono un efficace cuscinetto fra le popolazioni cristiane degli altopiani e quelle islamiche dei bassopiani.

Nel 1621, sotto l’influenza dei missionar i gesu iti e per volontà dell’Imperatore Susenyos, vi fu una breve riunificazione (durata sino al 1632) con la Chiesa cattolica romana. Il processo fu però sabotato dal clero etiopico che vi vedeva un ostacolo alla conservazione dei propri privilegi. Naturalmente i gesuiti furono subito espulsi. L’attivismo imperiale in campo religioso è sempre stata una connotazione della società etiopica, attivismo dettato spesso dall’esigenza di contrastare l’arretratezza culturale e talora l’ignoranza degli ecclesiastici. Basti pensare che una delle maggiori preoccupazioni dell’ultimo Imperatore, Hailè Selassiè, fu proprio quella di garantire un’ adeguata formazione teologica a preti e seminaristi.

A tale scopo notevoli furono le aperture verso le altre chiese ortodosse e quella anglicana.
Con l’avvento dell’Imperatore Tewodros II, nel 1855, aveva inizio il processo di modernizzazione dell’Etiopia: Tewodros lottò contro la schiavitù, praticata negli ambienti islamici e tollerata fra alcuni dignitari cristiani; vietò la castrazione dei prigionieri di guerra in uso presso gli Oromo; tentò di affermare il rispetto della monogamia.
Menelik II, il vincitore degli Italiani ad Adua, stabilì definitivamente la capitale ad Addis Abeba. Menelik rafforzò l’identità cristiana dello Stato; tale compito divenne poi programma costante per tutta la vita e per tutto il lungo regno del successore Hailè Selassiè.
Le biografie ne parlano come di uomo profondamente religioso, di preghiera e scrupoloso osservante dei precetti religiosi, particolarmente devoto al culto mariano: “La sua concezione sacrale del potere non rispondeva solo ad una visione utilitaristica della confessione cristiana come instrumentum regni ma si rivelò alla lunga come una sorta di compenetrazione che toccava la sua coscienza di uomo destinato a proporsi come guida patriarcale”.
Vincitore al fianco degli Inglesi contro l’Italia fascista, raccomandò sempre ai propri sudditi umanità e ospitalità nei confronti degli Italiani sconfitti.
Hailè Selassiè fu anche l’uomo del pan-africanismo, diventando negli anni ’60 presidente dell’O.U.A. (Organizzazione per l’Unità Africana). Cercò per tutta la sua vita di rafforzare e migliorare le strutture ecclesiali del proprio Paese, convinto che la santità della Chiesa e degli uomini di Chiesa potesse influenzare beneficamente l’intera società. Tentò di coniugare progresso e sviluppo tecnologico con le più antiche tradizioni. Non vi riuscì fino in fondo, perchè dopo aver sventato le molte sedizioni islamiche e le insofferenze tribali in varie parti dell’Impero (sostenute dagli Stati islamici), dovette cedere ad una congiura di militari comunisti (diretti dall’ambasciata sovietica), che, riuniti nel Derg, precipitarono il Paese nell’oppressione tipica del socialismo reale.
Un libro dunque interessante, anche se adatto più agli specialisti che al grande pubblico, e che lascia il lettore con la curiosità di sapere quale sia, dopo la sciagurata parentesi comunista,la situazione attuale della Chiesa etiopica e dei suoi rapporti con la nuova Repubblica.

Roberto Cavallo

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