EURABIA: COME L’EUROPA E’ DIVENTATA ANTICRISTIANA, ANTIOCCIDENTALE, ANTIAMERICANA, ANTISEMITA

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verso-il-califfato_bigCome altri membri della comunità ebraica egiziana, nel 1957 Gisèle Littman dovette abbandonare la sua patria e rifugiarsi a Londra, per poi trasferirsi definitivamente a Ginevra nel 1960, dove tuttora risiede.

Gisèle Littman, con lo pseudonimo ebraico di Bat Ye’or che significa “Figlia del Nilo”, è diventata giornalista e scrittrice di successo. Dopo l’edizione inglese (2005) e quella francese (2006), per i tipi della Lindau (Torino, 2007, pp.416, euro 24) ha pubblicato in Italia “Eurabia. Come l’Europa è diventata anticristiana, antioccidentale, antiamericana, antisemita”.

L’espressione Eurabia, già fatta conoscere al grande pubblico da Oriana Fallaci e dallo storico Niall Ferguson, si deve proprio all’intuizione di Bat Ye’or, che intende così descrivere il processo storico-politico di graduale trasbordo della cultura araba in quella europea. Come se il Mediterraneo che separa le due sponde e le due civiltà impercettibilmente svanisse nel nulla…

Il volume, diviso in cinque parti, costituisce un ampio studio fondato su una documentazione vastissima.

Nella prima parte – Il progettoBat Ye’or definisce che cosa deve precisamente intendersi per Eurabia: un disegno strategico che mira a staccare l’Europa dall’alveo “occidentale”, e soprattutto dalla tradizionale alleanza con gli Stati Uniti, per farla confluire quanto più possibile nell’universo musulmano.

Non a caso fu il generale Charles De Gaulle (1890-1970), presidente della Repubblica Francese dal 1959 al 1969, ad avviare tale progetto in aperta polemica con la NATO, con gli U.S.A. e, di conseguenza, con Israele. Nasceva così intorno agli anni ’70 quello che in ambito diplomatico venne chiamato il DEA (Dialogo Euro-Arabo), con un forte atteggiamento di simpatia per la causa del popolo palestinese e per il suo leader carismatico: Yasser Arafat (1929-2004).

Nella seconda parte – La genesi di Eurabia – l’Autrice ricorda come la crisi energetica degli anni ’70 e il conseguente timore di non poter mantenere gli elevati standard di consumi raggiunti, accelerò il desiderio europeo di cooperazione culturale e politica con la sponda meridionale del Mediterraneo: non solo la Francia, ma molti altri Stati europei, fra cui l’Italia, intessevano ormai legami privilegiati con i Paesi arabi e con l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina).

Nella terza parte – Il funzionamento di Eurabia – con dovizia di particolari si ripercorre il tragitto che ha condotto alla I Conferenza Euromediterranea di Barcellona (Dialogo di Barcellona) del 1995 e, dopo la parentesi rappresentata dall’attacco alle “Twin Towers” dell’11 settembre 2001, alla VI Conferenza Euromediterranea di Napoli del 2003: momenti decisivi per la strategia araba di implementazione della propria presenza, demografica e culturale, nel Vecchio Continente. In particolare vengono ricordate le copiose sovvenzioni (quasi 6 miliardi di euro per il solo quadriennio 1998-2002) devolute ai Paesi partner del processo di Barcellona: Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto, Autorità Palestinese, Libano, Giordania, Siria e Turchia. Aiuti economici favoriti dal DEA e finalizzati soprattutto a promuovere gli studi arabi e islamici ad ogni livello: nell’istruzione, nei media, nella cultura dei Paesi dell’U.E.

Con la quarta parte – Gli strumenti di EurabiaBat Ye’or mette in risalto la sostanziale arrendevolezza di molti statisti europei dinanzi alla pressione islamica e palestinese in particolare; così, per esempio, dopo l’iniziale identificazione di Hamas quale organizzazione terroristica, è lentamente subentrata la convinzione di trovarsi dinanzi ad un legittimo interlocutore politico: i fondi europei prima congelati sono stati sbloccati e oggi ONG direttamente finanziate dall’U.E. lavorano a favore di Hamas.

Analogo discorso può valere per Hezbollah in Libano.

L’ideologia di Eurabia costituisce la quinta ed ultima parte del libro. Qui l’Autrice denuncia il “palestinismo” (pag.251), quasi nuovo culto che assegna valenza “teologica” ai Palestinesi, divenuti nell’immaginario mediatico il popolo oppresso per eccellenza. Ancora: nell’immaginifico europeo subentra impercettibilmente la convinzione che lo stesso Gesù Cristo fosse palestinese e non ebreo, all’interno di una visione artatamente idilliaca dei rapporti storici fra Islam e cristianesimo. Esempio concreto di simile visione per Bat Ye’or è rappresentata dall’ ”utopia andalusa”: con molti esempi storici l’Autrice dimostra come quella della tolleranza musulmana sia una rappresentazione più ideologica che reale, volutamente dimentica delle imprese militari islamiche, che dal VII secolo in poi non solo spazzarono via la cristianità orientale e nord-africana ma misero a ferro e fuoco la stessa Europa. Un appunto che Bat Ye’or  rivolge ai cristiani e agli occidentali in generale (non a tutti, ma alla maggior parte) riguarda la loro arrendevolezza – una specie di resa, culturale prima ancora che politica, in cambio di tranquillità –, che esprime con il neologismo di origine arabo “dhimmitudine” (sottomissione),  e che ricorda, con sorprendente similitudine, il principio palestinese della  “terra in cambio di pace e sicurezza”.

Riferendosi ai Paesi musulmani dove ancora, nonostante la forte spinta all’emigrazione, persistono minoranze cristiane (Egitto, Pakistan, Iraq, ecc.) Bat Ye’or  scrive: “Private della loro storia e della loro identità, le società dhimmi (sottomesse, n.d.r.) tendono a diventare vere e proprie masse senza memoria, le quali, per sopravvivere, si rifugiano nell’adulazione dei loro oppressori o in un silenzio autistico.”  (pag. 312).

Il rifiuto della Bibbia e l’autodenigrazione europea nei confronti dell’Islam si configurano come una sorta di anticristianesimo innestato sull’antisionismo ….” (pag. 316).

L’impostazione dell’opera indubbiamente risente dell’appartenenza nazionale (con i condizionamenti culturali che ne derivano) di Bat Ye’or,  che non lesina giudizi taglienti  nei confronti dei protagonisti del Dialogo Euro-Arabo.

In effetti se uno degli scopi del DEA era quello della graduale integrazione dell’immigrazione di origine araba nel tessuto europeo, questo risultato sembra ben lontano dall’essere raggiunto.

Resta il fatto che la prospettiva di Eurabia e gli spunti di riflessione che l’Autrice offre non vanno sottovalutati, in un quadro di ripensamento generale dell’identità europea ed occidentale.

 

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