GIANNIZZERI: STORIE DI BAMBINI-SOLDATO (Corriere del Sud, n°8/2007)

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giannizzeri2.jpg Il termine “giannizzeri” deriva dal turco yeni ceri, che significa “nuova milizia” (altri traducono “giovane guerriero”). Si trattava di un corpo di fanteria istituito dal sultano Orkhan (1288-1359) nel 1329 (tra gli storici specialisti del settore vi sono comunque dubbi circa l’esattezza di questa data) e riorganizzato nel 1360 da Murad I (1326-1389).
I giannizzeri inizialmente furono reclutati fra i prigionieri di guerra cristiani più giovani e docili, e disposti alla conversione all’Islam. Ma le esigenze dell’esercito richiedevano sempre forze nuove. Per questo le regioni conquistate dai Turchi vennero sottoposte al devshirme, cioè al reclutamento forzato dei bambini cristiani (almeno uno per ogni quaranta famiglie) che venivano avviati alla carriera civile e militare. Sebbene si abbia notizia di casi in cui tale destino non sia stato avversato, e ciò avveniva specialmente per le famiglie più povere, che intravedevano nella carriera militare ottomana un’accettabile prospettiva di vita per i propri figli, generalmente questa specie di corveè costituiva uno strazio per le famiglie. Nei Balcani sono fioriti racconti, leggende e canti popolari che narrano il dramma di questi bambini strappati alle madri, al focolare domestico, alla patria
Una speciale commissione arrivava nei villaggi cristiani dei Balcani e sceglieva i ragazzi più forti ed intelligenti, in un’età compresa, generalmente, fra gli 8 e i 10 anni. Fino al 1700 il corpo fu dunque composto principalmente da prigionieri cristiani o da cristiani della penisola anatolica, arruolati fin da piccoli e costretti a passare all’Islam. Solo in seguito vi entrarono anche Turchi già Musulmani. I ragazzini venivano acquartierati in appositi convitti-caserme che per tutta la vita diventava la loro unica casa. Erano educati ad una vita frugale, ad una disciplina severissima, ad un addestramento militare pesantissimo, alla fedeltà verso il sultano, che era il loro unico vero padre-padrone. La raffigurazione del cucchiaio che gli ufficiali portavano sul copricapo, e che stava a significare come essi ricevessero il cibo direttamente dalla mano del sultano, era uno dei simboli di tale assoluta fedeltà. Costretti al celibato, erano iniziati alla confraternita islamica tariqa bektasshiyya, ispirata dal mistico Haci Bektas. Solo chi dimostrava il proprio valore accedeva al vero titolo di giannizzero, intorno all’età di 24-25 anni. In caso di invalidità, o al sopraggiungere della vecchiaia, ricevevano una specie di pensione. Alla loro morte il reggimento ereditava tutti gli averi, compreso il bottino di guerra di cui ognuno era eventualmente riuscito ad impossessarsi.
Il principe albanese Skanderbeg (1403-1468), come tanti suoi coetanei, fu preso in ostaggio e costretto a militare nei reggimenti dei giannizzeri. Distintosi per il valore delle sue imprese, riuscì però a non dimenticare la casa paterna e a fuggire verso la Cristianità, in Albania, diventando una spina nel fianco dell’Impero ottomano.
Questa vera e propria “decima umana” garantì, nei 200 anni in cui fu applicata, una forza di circa 200.000 giovani che l’Impero ottomano potè scagliare a suo piacimento contro quell’Occidente da cui li aveva strappati.
Ordinariamente infatti il corpo contava 25.000 uomini, ma in certi periodi le forze al completo dei giannizzeri raggiunsero anche le 200.000 unità. Erano organizzati in orta, termine turco che significa “cuore”, e stava a significare la forza di un reggimento.


Il sultano Solimano I (1494-1566) aveva a propria disposizione 165 orta, ma il numero aumentò fino a 196. Il sultano era il loro comandante supremo, ma sul campo essi venivano organizzati e controllati da un aga, e cioè da un “generale”. Il corpo si divideva in tre reparti: i jemaat, le truppe di frontiera, con 101 orta; i beuluk, le guardie della sicurezza del sultano, con 61 orta; i sekban o seimen, con 34 orta.
A questi si aggiungevano ulteriori 34 orta di ajami, che erano gli apprendisti. I giannizzeri potevano essere puniti solo dai propri superiori. I nomi dei gradi erano quelli usati tra i servi in cucina o tra i cacciatori, e questo per ribadire il loro stato di subordinazione nei confronti del sultano.
Adibiti anche al servizio del palazzo imperiale e dell’ harem, divenuti nel tempo un corpo d’elite, più volte promossero rivolte e sbalzarono dal trono gli stessi sultani. Infine Mahmud II sciolse il corpo, facendoli addirittura mitragliare in occasione di una rivolta scoppiata nel 1826: circa 30.000 giovani in quell’occasione furono massacrati.
I giannizzeri si distinguevano per il loro valore in battaglia; d’altronde sin da piccoli venivano iniziati all’addestramento militare e alla guerra santa. Parteciparono come corpo d’elite a tutti i principali scontri con i Cristiani (battaglia della piana di Kossovo nel 1389, Nicopoli nel 1396, Varna nel 1444) e nel corso degli assedi (Costantinopoli, Rodi, Malta, Famagosta, ecc.) erano sempre in prima fila. In ciò erano preceduti soltanto dagli Iayalari, una milizia di musulmani suicidi che si gettavano nella mischia con lo scopo deliberato di morire per Allah e di guadagnare subito il paradiso. Non bisogna pensare che tali milizie appartengano ad un passato oramai remoto Nella recente guerra Iran-Irak i miliziani Khomeinisti hanno costituito il corpo dei bassiji, ragazzini in divisa mandati lucidamente al massacro, come carne da cannone, per individuare i campi minati degli Irakeni


Roberto Cavallo


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