HEZBOLLAH. TRA INTEGRAZIONE POLITICA E LOTTA ARMATA

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La vicenda storica libanese è assai complessa, così come la sua geografia, che ne fa un luogo d’incontro di popoli e fedi diverse. Per questo motivo i pontefici più recenti, da Giovanni Paolo II a Benedetto XVI, hanno indicato il Libano come la terra del dialogo per eccellenza. Qui, infatti, non solo è possibile trovare villaggi e città dove musulmani e cristiani convivono, ma perfino la carta costituzionale si basa –fatto più unico che raro- sulla distribuzione dei poteri fra le diverse comunità religiose presenti sul territorio.

Tutto ciò è stato possibile più o meno fino a metà degli anni ’70, quando i riflessi della crisi palestinese e il nascente fondamentalismo islamico hanno incrinato i rapporti d’equilibrio tradizionalmente esistenti. Così il Libano, che fino ad allora era stato considerato la “Svizzera del medio Oriente”, iniziò a diventare una polveriera.

Nel suo libro “Hezbollah. Tra integrazione politica e lotta armata” (Datanews Editrice, Roma, dicembre 2012, pagg. 181), Matteo Bressan, giovanissimo ricercatore di studi internazionali e pubblicista, delinea la recente storia del Libano con il suo strascico di guerre civili spesso fomentate da vicini troppo ingombranti, Siria e Israele in primis. Bressan offre al lettore un’analisi attenta e mirata sull’origine, la struttura e l’azione di Hezbollah, anche grazie alla sua esperienza diretta, maturata nel campo della cooperazione internazionale in Libano.

In tale contesto politico, divenuto incandescente negli ultimi anni, si situa la nascita del movimento islamico Hezbollah, la cui origine prossima è individuabile -riferisce Bressan- nel 1982, quando nella valle della Bekaa giunsero provenienti dall’Iran khomeinista almeno un migliaio di “Guardiani della Rivoluzione”, inviati direttamente da Teheran per addestrare i combattenti della resistenza islamica contro Israele. Così dopo i palestinesi di Arafat, per la seconda volta nel giro di pochi anni il Paese dei cedri diventava meta di guerriglieri armati che arrivavano per costruirvi basi militari finalizzate a combattere Israele. Scrive Bressan: “Tale operazione fu coordinata dall’allora ambasciatore iraniano a Damasco, Ali Akbar Mohtashemi, che da un lato aveva ottenuto dalla Siria il permesso di insediare i Guardiani della Rivoluzione nella Valle della Bekaa e dall’altro andava riunendo intorno a sé tutti i movimenti e quella parte di clero che costituirono di lì a poco Hezbollah. In un’intervista pubblicata sul quotidiano liberale iraniano Sharq, il 3 agosto del 2006, fu proprio Ali Akbar Mohtashemi a definire Hezbollah come il figlio spirituale dell’Imam Khomeini e della rivoluzione islamica. Nei progetti dell’ayatollah Khomeini, che diede appunto l’ordine di addestrare i combattenti libanesi, Hezbollah avrebbe rappresentato il primo esempio di esportazione della rivoluzione islamica oltre i confini dell’Iran.”.

Se tale è l’origine del movimento, la sua fisionomia è a metà strada fra il gruppo terrorista con potenti agganci internazionali e una specie di ONG. Hezbollah, infatti, accanto alla più nota ala militare – quella che nel 2006 ha tenuto fronte ad Israele – per statuto si occupa anche di istruzione, assistenza sociale e sanitaria, edilizia popolare, propaganda e attività culturali e filantropiche. Il tutto, ovviamente, all’insegna dell’islam sciita, quello che fa capo all’Iran e che tradizionalmente si oppone all’islam sunnita. Ma il merito del libro di Bressan consiste anche nell’illustrare con dovizia di dati l’attività di Hezbollah nell’ambito della criminalità internazionale, non escluso il riciclaggio di denaro sporco e il traffico internazionale di droga. Tale attività travalica i limitati confini libanesi e vede Hezbollah presente in Africa e soprattutto in America Latina (con una significativa presenza a Cuba). I proventi della criminalità internazionale rendono bene e costituiscono, insieme alle sovvenzioni iraniane, una delle principali fonti di reddito del movimento, che così è in grado di dedicare cospicue risorse finanziarie sia alla costruzione degli arsenali missilistici (per colpire le città israeliane) che alle iniziative sociali e filantropiche. Ciò non significa che esistano due Hezbollah, uno “politico” e uno “militare”, come sperano e s’illudono taluni governi europei. Il medesimo movimento, per mezzo dei propri portavoce, ne ribadisce la natura identitaria e indivisibile (pag. 97).

Quanto alla comunità cristiana libanese (che prima dell’inizio della guerra civile era maggioranza della popolazione ma oggi è minoranza), anch’essa politicamente si trova divisa fra quanti – per sopravvivere – si agganciano ai Musulmani sciiti (Hezbollah) e quanti a quelli sunniti. Una situazione drammatica, che accomuna i Cristiani del Libano alle altre comunità sorelle del Medio Oriente, più o meno soffocate, a secondo delle contingenze, da maggioranze musulmane intolleranti.

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