IL DECLINO DEL MEDIO ORIENTE CRISTIANO (Corriere del Sud, n°16/2008, 19 dicembre 2008)

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gerusalemmeC’è un tema che diviene ogni giorno più doloroso per chi ha a cuore le sorti della cristianità e della sua culla geografica: il declino del Medio Oriente cristiano.

Una serie di recenti pubblicazioni monitorizzano la situazione delle comunità cristiane orientali in agonia, ma che ancora rappresentano un vessillo, una testimonianza vivente di quella che fu la prima inculturazione del Vangelo. Con la grande fuga oggi in atto rischia di perdersi per sempre un patrimonio preziosissimo non solo per i tesori di arte e di cultura di cui tali comunità sono depositarie, ma per il ruolo di dialogo e di intermediazione che esse hanno svolto e che tuttora tentano di svolgere nel contesto musulmano. Questi paesi sono anche la fotografia di ciò che molte realtà occ idental i diventeranno se i processi di scristianizzazione e di islamizzazione del vecchio continente procederanno di pari passo, indisturbati, sino alle estreme conseguenze.   

Ma quali sono le comunità orientali a rischio di estinzione ? Eccone una breve panoramica: la Chiesa maronita, radicata e sviluppata in Libano; la Chiesa melchita greco-cattolica, diffusa in Siria, in Libano e in Terra Santa; la Chiesa armena ortodossa e, più recente e meno numerosa, quella armeno-cattolica, presenti in Iraq, Siria, Turchia e Libano; la Chiesa copta, sia ortodossa che cattolica, diffusa soprattutto in Egitto e in Etiopia, ma con propaggini anche in Iraq; la Chiesa caldea – unita a Roma –, che in Iraq raccoglie la maggioranza dei fedeli cristiani; la Chiesa apostolica assira d’Oriente, anch’essa ampiamente diffusa in Iraq; la Chiesa siriaca, sia cattolica che ortodossa, i cui fedeli sono dispersi fra Turchia, Libano, Iraq, Siria e soprattutto la diaspora in Occidente.   

Stessa sorte ovviamente condividono i Cattolici Latini, i Greco-Ortodossi e le minoranze protestanti, presenti in tutto il Medio Oriente.

Va notato che ormai la maggior parte dei fedeli di tali comunità orientali è più facile trovarli in Australia o negli Stati Uniti che in Medio Oriente: le cifre della diaspora sono impressionanti e si fanno più pesanti di anno in anno.

 

Iraq

Come Benedetto XVI ha ricordato all’Angelus del 26 ottobre 2008, fra i vari Paesi in cui il cristianesimo è rischio estinzione, in Iraq la situazione si presenta più difficile, per non dire drammatica. Da quando è iniziata la guerra, nel 2003, l’esodo dei cristiani (caldei, assiri, melchiti, latini, siro-cattolici e siro-ortodossi) è diventato giornaliero, e l’antichissima comunità, particolarmente fiorente sin dai tempi dell’Impero bizantino, per la prima volta nel la sua storia rischia di sparire. Nel settembre del 2004 l’opinionista irakeno Magid Azizah osservò che “…è difficile richiamare alla memoria un periodo in cui gli arabi cristiani furono più in pericolo di oggi.” (Robert Spencer, Guida (politicamente scorretta) all’Islam e alle crociate, Ed. Lindau, Torino, 2008, pag. 237).

I cattolici di rito latino e di rito orientale, insieme agli ortodossi e a un piccolo gruppo di protestanti, componevano sino al 2003 un unico gregge di quasi un milione di fedeli, corrispondente a circa il 4% dell’intera popolazione irachena (25 milioni di abitanti). Oggi non si sa con esattezza quanti ne manchino all’appello, ma stime prudenti e condivise ritengono che ben oltre 250.000 cristiani delle varie denominazioni abbiano lasciato il paese in questi ultimi 4 anni.

Non che nel passato siano mancate persecuzioni ed eccidi da parte degli islamici. Dopo l’invasione araba del VII secolo, che mise fine all’indipendenza bizantina, i cristiani seppero fare buon gioco a cattiva sorte e servirono con prestigio nell’amministrazione califfale, dando un contributo determinante allo sviluppo della cultura araba. Da allora, pur nella loro condizione di dhimmi (sottomessi), hanno dimostrato sempre alto senso dello Stato, servendo per secoli nell’Impero ottomano. Ciò non risparmiò nel 1915 la medesima persecuzione turca che in Anatolia distrusse la comunità armena; mentre nel 1933, sotto la neonata repubblica irachena, nuovi massacri colpirono, in particolare, la fiorente comunità assira. Con la dittatura nazionalista di Saddam Hussein alcuni di loro hanno raggiunto posizioni di estremo prestigio, come il ministro degli esteri Tarek Aziz, che pur non essendo personalmente un praticante, è tuttavia di famiglia cristiana. Sotto il passato regime i cristiani godevano in generale di una certa protezione, in cambio, ovviamente, della sottomissione più assoluta al partito laico-nazionalista Baath. La guerra del 2003 ha sconvolto gli assetti, e il vuoto di potere che in questi anni si è venuto a creare ha favorito gruppi di estremisti musulmani – non di rado legati ad Al Qaeda –, ma anche gruppi di criminali comuni collusi con il fanatismo islamico. Il risultato è che fra i cristiani è aumentato il senso di smarrimento per le continue intimidazioni, per i rapimenti a scopo di estorsione, per gli stupri sulle donne, per gli assassini di sacerdoti e di laici impegnati, per le chiese sventrate dalle bombe e dalle raffiche di mitra. Nel 2007 e nel 2008 i rapimenti dei cristiani e le minacce di morte nei loro confronti sono aumentate vertiginosamente, attività organizzate in modo scientifico per far andare via la gente e per impossessarsi delle loro abitazioni. A Baghdad, che pure era considerata la città delle 50 chiese, interi quartieri cristiani, come quello di Dora, si sono svuotati. Dei circa 6 milioni di rifugiati iracheni (2 milioni di rifugiati interni e 4 milioni all’estero), una buona parte sono cristiani.

Per il vescovo ausiliare caldeo di Baghdad, Mons. Shlemon Warduni, nel 2007 sono successe cose “… che non avremmo nemmeno potuto immaginare: i cristiani sono stati trattati con particolare crudeltà, uccisi, cacciati dalle loro case, minacciati, costretti a convertirsi all’islam con la forza, a dare le loro figlie in spose a musulmani, a pagare la jiziya (la tassa dei sottomessi, n.d.r.).” (I Cristiani e il Medio Oriente. La grande fuga, di Fulvio Scaglione, Edizioni San Paolo,  2008,  pag.77).

In questi anni, scrive il giornalista Fulvio Scaglione, quasi nessuno ha risposto ai bisogni di sicurezza dei cristiani iracheni. La Costituzione del 2005 nonostante si sforzi di garantire il pluralismo religioso, all’art. 2 recita: “Non può essere approvata alcuna legge che contraddica i precetti dell’Islam”.

Le comunità ecclesiali dell’Occidente non sono mai riuscite a tradurre sul piano sociale e politico l’ attenzione caritatevole che pure hanno dimostrato per i cristiani iracheni. Se a tutto questo si aggiungono i problemi tipici di una nazione attraversata dalla guerra civile, con strascichi di disoccupazione e di povertà, si comprende come l’unico desiderio sia quello di andare via. Fuga dal Medio Oriente. Ma non è facile. Ecco la testimonianza di un immigrato cristiano iracheno, che è riuscito a raggiungere l’Italia, riportata dal giornalista Fulvio Scaglione: “Qui da voi ci sono tanti arabi, com’è possibile? La gente, dalle mie parti, lo dice continuamente: per noi cristiani è così difficile avere i visti dell’Europa, per gli arabi invece è tanto facile. Perché?”.

 

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