IL MITO DI GARIBALDI: INTERVISTA A MONS. ANDREA GEMMA, VESCOVO DELLA DIOCESI DI ISERNIA-VENAFRO (Il Corriere del Sud, n°6/2003, 16 aprile/30 aprile,pag.29)

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isbn883846494_1.jpg Fin da piccoli alcuni miti hanno accompagnato la nostra fanciullezza. Uno di questi è sicuramente la figura di Giuseppe  Garibaldi, che, presentatoci alle elementari nella sua eroica iconografia, ci ha poi seguito alle medie e al liceo, quasi scandendo le tappe della crescita e della formazione storico-civica di ciascuno di noi.

Il recente libro di Francesco Pappalardo, ” Il mito di Garibaldi. Vita, morte e miracoli dell’uomo che conquistò l’Italia” (Piemme, 2002) stimola la riflessione proprio su tale aspetto: la popolarità postuma dell’Eroe dei due mondi, alimentata da abbecedari e sussidiari (che per la loro omologazione potremmo chiamare di Stato), trova corrispondenza in altrettanta popolarità da parte dei suoi contemporanei? Questo ed altri aspetti poco conosciuti di Garibaldi hanno costituito oggetto dell’incontro organizzato sabato 5 aprile a Lecce dall’associazione civico-culturale Alleanza Cattolica, durante il quale è stato presentato il libro di Francesco Pappalardo. In tale occasione abbiamo intervistato Mons. Andrea Gemma, dal 1990 Vescovo della diocesi di Isernia-Venafro, che del libro ha curato la presentazione.

D. Mons. Gemma, come mai questo particolare interesse per Garibaldi e per il periodo risorgimentale ?
R. Ci sono varie motivazioni. Innanzitutto il mio appassionato amore per la Verità, non solo in qualità di sacerdote ma anche come giornalista.

Ciò mi spinge a ricercare, con passione, la verità storica, costi quel che costi. Il secondo motivo è che sono il Vescovo di una zona “calda”, quella appunto di Isernia-Venafro, nel Molise, dove le truppe “sabaudiste” vennero a turbare la pace e la tranquillità di queste popolazioni. In alcuni paesi del circondario i garibaldini compirono degli eccidi innominabili, finanche esponendo nelle gabbie le teste mozzate dei popolani: lo si può vedere su stampe e documenti dell’epoca. Ultima motivazione è che sono il successore di Mons. Salaldino, il Vescovo che resse la mia diocesi nei giorni tumultuosi della conquista garibaldina e piemontese. Non posso dimenticare che stava per essere ucciso, e solo miracolosamente si salvò da un colpo, mentre si trovava nella cattedrale di Isernia in adorazione del Santissimo Sacramento.

Subì una dura persecuzione, perchè i liberali vincitori lo accusavano di sobillare la popolazione contro i garibaldini.

D. Eccellenza, Lei è stato assunto agli onori della cronaca nazionale quando nel novembre del 2001 scrisse una lettera aperta al Presidente Ciampi
R. Sì, durante una cerimonia ufficiale, si trattava della festa delle Forze Armate, fu data lettura di un messaggio del Presidente della Repubblica, in cui fra l’altro si tessevano le lodi di Garibaldi. Io pensai: ma come? Proprio qui, nella nostra terra che tanto ha sofferto? Parlare di Garibaldi? Fu così che scrissi quella lettera in cui ricordavo le nefandezze compiute a Isernia e a Venafro dagli pseudo-liberatori. Nessuna nostalgia per la dinastia borbonica, che pure tanti benefici ha arrecato al Meridione, ma anche nessuna complicità nel travisamento della realtà storica.

D. La conquista del Sud: era forse il duro prezzo che bisognava pagare per l’Unità d’Italia?
R. Come cattolici, e quindi come “universalisti”, perchè questo significa il termine cattolico, sicuramente apprezziamo tutto ciò che unisce, e quindi anche il risultato del Risorgimento, e cioè l’Unità d’Italia. Non condividiamo però il modo brutale con cui essa fu realizzata, conseguenza di una cultura e di una politica profondamente contrarie all’anima cristiana delle popolazioni italiane del tempo, che, almeno al Sud, si ribellarono in massa.

Roberto Cavallo

 

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