IL PADRE, L’ASSENTE INACCETTABILE (di David Taglieri)

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L’ Occidente odierno viene definito dalle scienze sociali una Società senza Padri, con la fine del Patriarcato e lo svuotamento generale dei ruoli, alimentato dall’assenza della figura paterna.

Il Padre, l’assente inaccettabile (pagg. 160, Edizioni San Paolo) è il libro con cui Claudio Risè, psicoanalista di formazione Junghiana, delinea la Famiglia, solido anello di collegamento fra la biografia individuale e il Trascendete.

Il volume ha un taglio legato ai fatti di cronaca, in un quadro psicologico ed antropologico che mai dimentica le concrete esigenze individuali nel piano comunitario.

“Se quello che i mortali desiderano potesse avvenire, per prima cosa vorrei il ritorno del Padre…”. E’ Telemaco figlio di Ulisse a parlare in questo modo nell’Odissea, uno dei primissimi personaggi che nelle grandi narrazioni dell’umanità testimonia l’ angoscia di un figlio senza Padre.

Come contraltare la nostalgia dello sguardo paterno, il Padre che magari ti guarda da lontano ma al momento giusto ti sgrida o ti sorride; la malinconia di non riuscire a creare più una giusta maggioranza di coraggiosi e virtuosi, soppiantata da anonimi uomini di azienda.

Il Padre che ha paura di fare il suo mestiere, innanzitutto perché non ha avuto un esempio che gli insegnasse ad essere tale.

La società secolarizzata del divorzio facile, dell’aborto praticabile senza neppure interpellare il Padre, sta svilendo e sminuendo il concetto di Famiglia, privilegiando nuove forme di aggregazioni pseudo-familiari, che esaltano le caratteristiche dei generici compagni di madre o di padre, in un gioco da fiction alla volemose bene, per utilizzare una terminologia poco consona ma alquanto efficace.

Sempre più il padre, secondo la sociologia dominante, deve rappresentare un corpo estraneo rispetto ai sentimenti e alle decisioni dei figli, riducendosi ad un mero amministratore economico; il padre è sopratutto emotivamente assente, respinto in una grigia terra di nessuno.

Ma come il Padre è costitutivo della Vita, della sua organizzazione, attraverso autorità, gerarchia, pianificazione e senso di responsabilità, allo stesso modo l’umano assume una forma definita e un sano dinamismo nel segno del Padre che lo genera.

Acquista invece tranquillità e sicurezza affettiva nell’esperienza della madre che lo accoglie.

Tutti noi oggi, più o meno consciamente, proviamo nostalgia di questa presenza.

Lo scopo del saggio è di alimentare la speranza che il Padre ritorni definitivamente.

Quale è il segno del Padre? Il segno del Padre è la ferita, il dolore, ovvero il contraccolpo prodotto dalla perdita e lo scenario che al meglio lo esprime è rappresentato dall’evento sul Golgota: il figlio che viene colpito nel nome del Padre.

È il Padre nella sua caratterizzazione interiore, nelle sue qualità umane, nella sua dimensione psicofisica che inizia il figlio alla ferita, a quel percorso accidentato che si chiama vita.

Lo ricorda bene Josef Cordes – nell’azione salvifica di Gesù diventa visibile lo stesso Padre che ha tanto amato il mondo da dare il proprio figlio…e proprio per la nostra salvezza –.

Il Padre testimonia che la vita non è solo appagamento, ma talvolta anche e soprattutto rinuncia, limite, mancanza, perché proprio nelle situazioni di estrema difficoltà e tensione si può costruire un mondo inimmaginabile con le semplici categorie della materialità e dell’esistente.

Nella vita dell’uomo il Padre trasmette l’insegnamento perché la sua prima funzione psicologica e simbolica è quella di organizzare e dare uno scopo alla materia nella quale il figlio si trova immerso, nel corso della relazione primaria con la madre.

Il Padre infligge – secondo Risè – la prima ferita affettiva e psicologica, interrompendo la simbiosi con la Madre, prospettando così una direzione.

Ogni prospettiva seleziona gli orientamenti dello sguardo escludendone altri, e valorizza in particolare comportamenti netti, circostanziati dalla scelta: se in un primo momento si ferisce la vita del giovane è solo per renderlo più forte.

È dura la fase dell’educazione ma allo stesso tempo affascinante ed emozionante, perché si tratta dell’intervallo di tempo in cui il bambino impara a rinunciare.

In tal senso la fiaba Hans di ferro dei fratelli Grimm colloca in questo momento la perdita della palla d’oro, con cui il bambino abitualmente giocava; la metafora è chiaramente individuabile nella totalità psichica del fanciullo, prima che il processo educativo fatalmente intervenga a limitarlo e a dargli una forma umana, oltre ad una impostazione comportamentale.

Quando vi sarà perdita, esperienza non evitabile nella esistenza umana e che un certo vitalismo demenziale colloca ai margini, vi sarà anche rafforzamento caratteriale, e l’uomo divenuto tale saprà trarne la lezione essenziale, la sintesi, il succo più prezioso che si chiama Amore.

Amore per sé, amore per gli altri: entrambi si temprano nell’esperienza della perdita, non nella vanità del successo che, al di là dei luoghi comuni, a livello psicologico e materiale non stimola al miglioramento, ma all’appiattimento sui canoni di chi ci giudica senza strumenti adeguati (pensiamo ad esempio all’attuale società incentrata sui parametri dell’esibizionismo facile e delle comunicazioni iper-veloci).

Il padre è dunque innanzitutto un portatore della ferita e per questo può trasmettere al figlio una forte sensibilità ed una lucida logica: il sentire, la ricchezza di reggere il dolore, di scomporlo e di riconoscere in esso il valore aggiunto della prova e della lotta, del confronto con sé stesso e con il sentimento.

Trasmette al figlio la capacità di saper leggere un Senso, un Destino, il Soprannaturale negli eventi della vita; in tal maniera l’individuo capirà che ciò che egli chiama Caso è in realtà un progetto che non si vuole segnatamente e volontariamente includere nel proprio campo di aspettative.

Il fatto di aver voluto escludere Dio dalla vita civile con le derivate di secolarizzazione diffusa e di nichilismo gaio che si presenta sotto le false sembianze della leggerezza e dei sorrisi forzati della pubblicità, ha determinato l’annullamento della personalità umana.

Il Padre recupererà il suo ruolo nucleare all’interno della Famiglia, nel momento in cui tornerà ad essere educatore nelle premesse, correttore nel percorso di crescita, attore principale nell’indirizzamento all’obiettivo legato alla maturazione del Figlio, che dovrebbe essere missione e non destinatario di soldi e premi per promozioni scolastiche.

Nella Bibbia il volto paterno di Dio significa nella sua gran parte Amore nel modo del rigore, del giudizio, della correzione; la Bibbia è anche psicologia e manuale di vita coerente nel momento in cui esorta il Sé ad accettare i limiti ma anche ad arricchire la vita delle persone che ci sono accanto con insegnamenti che sono figli di combattimento e di prova.

Equilibrio è un concetto che riecheggia spesso all’interno del saggio. La Madre deve essere Dolcezza, Accoglienza, Maternità seria e responsabile; il Padre Autorità, Direzione, Intervento sulle anomalie e sugli errori. Gli eventi storici hanno avuto la loro influenza e uno spartiacque importante è rappresentato dalla Riforma protestante, che ha rotto l’unità dell’esperienza umana in Regno di Cristo e Regno del Mondo.

E da lì è v enuta la s ecolarizzazione di Matrimonio e Famiglia.

Statistiche alla mano ed esperienze di vita vissuta mettono in rilevo un quadro normativo che penalizza nella maggior parte dei casi la condizione del Padre e, anche di fronte a torti gravissimi da parte della donna, i figli vengono affidati alla stessa.

Risè tenta di stigmatizzare i classici luoghi comuni sulle convivenze prematrimoniali e sul divorzio.

Forse – in opposizione ad un conformismo antifamilistico oggi diffuso – tornerà di moda la famiglia tradizionale con un Padre Responsabile.

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