IL PRIMATO DELLA SEDE DI ROMA E LO SCISMA D’ORIENTE (L’Ora del Salento, 15 maggio 2010, pag.11)

1010

PRIMATO SEDE ROMAOgni anno la Chiesa dedica una settimana del tempo liturgico alla preghiera per l’unità dei cristiani.

In tale contesto un ruolo significativo assumono le numerose iniziative volte a colmare la distanza che separa i cattolici dai fratelli ortodossi. La necessità d i pr egare per tale scopo è sintomatico delle oggettive difficoltà che si pongono sul cammino di una completa riconciliazione, “Ut unum sint”, come diceva Giovanni Paolo II nella sua enciclica sull’ecumenismo.

Un libro delle Edizioni San Paolo, scritto proprio da un religioso della Società San Paolo, padre Michele Giuseppe D’Agostino, ci aiuta ad andare alle radici della rottura risalente al 16 luglio del 1054, quando con le reciproche scomuniche si consumò il cosiddetto scisma d’Oriente.

Il volume (2008, pagg. 415) ha per titolo “Il primato della sede di Roma in Leone IX (1049-1054). Studio dei testi latini nella controversia greco-romana nel periodo pregregoriano”.

Confortato da una bibliografia imponente, questo studio ha il pregio di proporre al lettore i documenti del tempo, in cui i protagonisti latini e greci maturarono due diverse ecclesiologie: universalistica e imperniata sull’autorità del papa i primi, con struttura sinodale ed episcopale i secondi.

 L’Autore non nasconde le fragilità umane – da entrambe le parti – che condussero alla prima tragica divisione della cristianità, ma dimostra che non di quello solo si trattò. Pur nella rudezza dei modi tipici del tempo e non certo inclini alla moderna sensibilità ecumenica, i protagonisti dello scisma affrontarono tematiche teologiche di complessità quasi insuperabile, come la processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio (Filioque) e il primato dei successori romani di San Pietro.

Papa Leone IX, sotto il cui pontificato si realizzò la rottura con l’Oriente, operò una vasta riforma della Chiesa, allora travagliata dalla simonia e dai maneggi della nobiltà romana. Nell’ambito di tale vasto movimento riformatore, che traeva le sue origini dall’esperienza monastica e che toccherà l’apice con Gregorio VII (1073-1085), in Occidente viene a consolid arsi la dottrina sul primato pietrino. Esso si appoggia sull’esegesi neotestamentaria e sulla presenza storica di Pietro a Roma, mai messa in discussione almeno fino al tardo medioevo.

Michele Cerulario, patriarca di Costantinopoli, negava che al pontefice spettasse più che un semplice primato di onore. Conseguenza non ultima di tale rifiuto è che ancora oggi in molti Paesi (compresa, per esempio, la minuscola Moldavia) i cattolici si trovano a dialogare non con una ma con più Chiese ortodosse, fra loro separate. Non solo. Il primato dei successori di Pietro come custodi ultimi della fede maturò in un periodo storico che da un lato vedeva la grande espansione della Chiesa verso l’Europa centro-settentrionale e dall’altro la decadenza dei patriarcati dell’età antica: G erusal emme, Antiochia, Alessandria, sedi di patriarcato, erano sotto il giogo musulmano e dunque fortemente limitate nel loro agire ecclesiastico. Restava solo Costantinopoli, ma anch’essa nel giro di pochi secoli avrebbe perso la propria autonomia. 

In tale contesto Roma rappresentava un segno tangibile di autorità e di universalità.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui