IL REALISMO, PER RICOMINCIARE (di Cosimo Galasso)

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Ricordiamo il punto essenziale del pensiero di Dreher, ripreso, a sua volta, da quel che fecero San Benedetto e i suoi monaci, i quali, certamente, non elaborarono a tavolino un progetto pastorale di costruzione della civiltà cristiana!

Pazientemente, sforzandosi di vivere, per primi, seriamente, il Vangelo, quasi per propagazione, un concetto caro a papa Francesco, lentamente, plasmarono il mondo, fino a “creare” una vera e propria civiltà cristiana, ossia organizzando “politicamente” il corpo sociale, ispirandosi ai valori cristiani. Cosa resa possibile dal fatto che il loro operato ormai era condiviso dalla maggior parte della popolazione.

Una delle vie individuate da Dreher, per farlo oggi, è quella di tornare ad impegnarsi nello studio e nella diffusione della dottrina della Chiesa. Ma da dove ripartire?

Personalmente, ritengo che dovremmo partire da una nota formula tomista, che, essendo naturale, è condivisibile da tutti gli uomini: la nozione di verità, bistrattata in questi tempi, caratterizzati da un nichilismo estremo: adaeguatio intellectus et rei, la quale significa che una cosa è vera quando l’intelletto si adegua al reale.

Benedetto XVI, nel solco di quella formula tomista, più volte ci ha esortato a tornare ad un sano uso di ragione e attraverso di essa a riscoprire quel realismo filosofico che, da sempre, ha costituito un gradino per ri-scoprire il Dio Creatore, fondamento di tutta la realtà. Per far questo, rovesciando Cartesio (1596-1650) e il suo principio d’immanenza, che pone il Cogito – il pensiero – a fondamento di tutto, il soggetto conoscente deve tornare “scolaro” del reale, ricordandosi che non conosce nulla, se non dai sensi, per poi elaborare con lo spirito, creato ad Immagine e Somiglianza di Dio.

Un sano realismo sa che i poli della conoscenza umana sono due e che essa non può prescindere da questa relazione: soggetto ed oggetto si rimandano l’uno all’altro. L’oggetto – come recita il suo etimo – è lì, davanti a noi, s’impone alla nostra riflessione ed è per noi indisponibile, quanto alla sua ragion d’essere. Ad esso possiamo appoggiare, come un chiodo nella roccia, saldamente, la nostra conoscenza, limitata sì, ma vera entro gli angusti confini della comprensione umana; limiti dovuti alla nostra dimensione creaturale. Diversamente, la conoscenza della creatura evaporerebbe come un miraggio.

Il filosofo Francesco Coralluzzo ha efficacemente sintetizzato la proposta realista per la comprensione del mondo: “Riconosce la priorità dell’essere sull’atto che lo coglie e sul soggetto che pone quell’atto; manifesta, in breve, il riconoscimento del primato dell’essere sul conoscere e, di conseguenza, la scelta per il realismo”.

Il realismo ci insegna che non possiamo proclamare una verità senza fondamenti, generata dal basso, come prodotto del consenso intersoggettivo, frutto d’interpretazioni plurime, d’infinite mediazioni, macchinose e, naturalmente, temporanee.

Il realismo affonda le sue radici nella speculazione dei due giganti del pensiero antico: Platone (428/ 7 a. C; 438/7 a. C.) e Aristotele. Il primo sviluppando alcune intuizioni del suo Maestro, Socrate (470/9 a.C-399 a.C.); il secondo, precisando e distinguendo, a partire dalla speculazione dei primi due, giungendo, così, a definire i contenuti e le relative differenze esistenti tra saggezza e filosofia prima.

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