IL VATICANO DI PIO XII (Il Corriere del Sud, n°8/2005, pag.20)

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pioxii.jpg Nella collana storica diretta da Sergio Romano è stato pubblicato, per i tipi della Casa Editrice Corbaccio, Il Vaticano di Pio XII. Uno sguardo dall’interno (Milano, 2005, pagg.230, euro 18,00).

Il volume, curato da Harold Tittmann III, raccoglie le memorie di un diplomatico americano vissuto a Roma, e poi direttamente in Vaticano, durante la 2^ guerra mondiale.
Le memorie sono quelle di Harold Tittmann Junior, padre di Tittmann III che ha curato il volume e che aggiunge i propri personali ricordi fanciulleschi.
Harold Tittmann Junior, eroe pluridecorato della Grande Guerra, era stato nominato dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti assistente di Myron Taylor, influente uomo d’affari statunitense, nonchè incaricato privato del Presidente Delano Roosvelt presso il Vaticano.

Fin dal 1867 infatti le normali relazioni diplomatiche fra Stati Uniti e Santa Sede erano state interrotte dall’allora presidente Andrew Johnson, in conseguenza delle pressioni “antipapiste” dell’ influente maggioranza protestante.

Ma nell’ottobre del 1936 il cardinale Eugenio Pacelli, allora segretario di Stato della Santa Sede, si imbarcò a Napoli sul piroscafo “Conte di Savoia” per un viaggio di due mesi negli Stati Uniti: in quell’occasione incontrò il presidente Roosvelt, con il quale instaurò una cordiale amicizia. Fu così che alla fine del 1939 Roosvelt sfidò la permanente ostilità degli ambienti protestanti inviando un suo rappresentante personale in Vaticano: Myron Taylor. Myron Taylor di fatto si trattenne poco a Roma, impegnato soprattutto a Ginevra, nella neutrale Svizzera, e negli Stati Uniti. La continuità della missione fu quindi garantita dal suo assistente, Harold Tittmann Junior.

Le informazioni che Tittmann Junior ci offre nelle sue memorie sono di notevole interesse per chiunque voglia comprendere, senza pregiudizi di sorta, l’atteggiamento tenuto da Eugenio Pacelli, divenuto proprio nel 1939 Papa Pio XII, nel corso del secondo conflitto mondiale. Sono note infatti le recenti rivisitazioni critiche, condotte da correnti storiografiche progressiste, in relazione all’atteggiamento troppo conciliante che Pio XII avrebbe mantenuto nei confronti di Hitler e del nazismo. Ecco allora che risultano importanti, ai fini della corretta comprensione storica, i rapporti diplomatic i m a anche personali intercorsi fra la Santa Sede e i vertici U.S.A., principali protagonisti, questi ultimi, della sconfitta del nazifascismo.
Scoppiata la guerra con l’invasione tedesca e sovietica della Polonia, obiettivo congiunto della diplomazia vaticana e statunitense fu il tentativo di tener fuori l’Italia dalla partecipazione bellica. Ma il 10 giugno 1940 tale aspettativa andò delusa, e gli eventi precipitarono ancor più nel dicembre del 1941 quando Mussolini dichiarò guera anche agli Stati Uniti. Harold Tittmann Junior e la sua famiglia non potevano più restare a Roma, in territorio italiano; ma in qualità di diplomatici presso la Santa Sede furono comunque autorizzati dalle autorità fasciste, in virtù dell’applicazione dei Patti Lateranensi, a trasferirsi direttamente in Vaticano. Medesima sorte spettò ovviamente a tutti i diplomatici delle Potenze alleate ostili all’Italia e all’ Asse, che dovettero soggiornare nei palazzi apostolici. Se Mussolini non ostacolò mai tale “dorato internamento” in Vaticano, Hitler nutrì sempre delle remore e dei sospetti su quella ambigua situazione: considerava infatti il Vaticano come un covo di spie all’interno dell’Asse.

Dal 1942 in poi, a mano a mano che le informazioni sugli orrori perpetrati dai nazisti nei territori d’occupazione giungevano agli Alleati, Roosvelt cominciò a premere con sempre maggiore insistenza affinchè Pio XII si pronunciasse in modo esplicito contro il nazismo. Harold Tittmann tratteggia con chiarezza il comportamento del Papa, in un certo senso condividendone le scelte. Innanzitutto ricorda come nel messaggio natalizio del 1942 Pio XII parlò esplicitamente di ” centinaia di migliaia di persone, le quali, senza veruna colpa propria, talora solo per ragioni di nazionalità o di stirpe, sono destinate alla morte o a un progressivo deperimento“.
Il pontefice chiarì a Tittmann il suo evidente riferimento a Polacchi, Ebrei e prigionieri, e precisò di non poter nominare in modo diretto i nazisti senza allo stesso tempo nominare anche i bolscevichi per gli orrori da questi commessi, cosa che certamente, però, non sarebbe stata di gradimento ad Americani e Inglesi. La Santa Sede poi era tenuta ad osservare un certo equilibrio internazionale, visto che altrettanto forti erano le pressioni che giungevano dai diplomatici accreditati dei Paesi dell’Asse, i quali richiedevano analoghe pronunce pontificie contro i presunti crimini di guerra commessi dagli Alleati. Ancora: Pio XII in relazione alla situazione di guerra e ai mezzi di informazione del tempo, non sempre era in grado di riscontrare con puntualità i misfatti di cui i nazisti erano accusati nei territori occupati. Ulteriore particolare, non meno importante: Pio XII, anche in forza della sua precedente esperienza diplomatica maturata proprio in Germania a cavallo fra le due guerre mondiali, temeva che una esplicita pronuncia contro il nazismo venisse accolta dai cristiani tedeschi (cattolici ma soprattutto protestanti) come una pronuncia contro la Nazione germanica, cosa del resto già successa con Benedetto XV nel corso della 1^ guerra mondiale.
L’equilibrio assunto da Pio XII apparve dunque chiaro e comprensibile non solo agli Alleati, ma anche e soprattutto alle comunità ebraiche, che al termine del conflitto dimostrarono gratitudine a Pio XII per l’indefess a oper a, sua personale e di tutta la Chiesa, a tutela degli Ebrei perseguitati.
Soltanto interessate versioni storiografiche hanno dunque potuto alterare un giudizio storico che anche dall’opera di Harold Tittmann Junior va a tutto beneficio di Papa Pacelli.

Roberto Cavallo

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