ISLAM RADICALE: LE MANI SULL’AFRICA

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Secondo una nota dell’Agenzia AdnKronos (di oggi 14 marzo) sono non meno di 20mila gli “hardliner” tra combattenti già addestrati, mujahiddin pronti all’azione, aspiranti kamikaze, jihadisti da ‘prima linea’: questa la fotografia più aggiornata della minaccia terroristica in Africa “… e, se consideriamo tutti i simpatizzanti e i fiancheggiatori, il numero cresce in maniera esponenziale”. E’ Marco Di Liddo, analista del Cesi (Centro Studi Internazionali) a sottolineare al’Adnkronos, all’indomani dell’attentato sulla spiaggia del Grand Bassam in Costa d’Avorio, che “l’Africa è da lungo tempo lo scenario più preoccupante, anche se le azioni compiute in quel continente hanno avuto per anni un richiamo mediatico minore rispetto a quanto accaduto in Siria, in Iraq e in Medio Oriente”. Dopo le prime grandi azioni terroristiche contro le sedi diplomatiche degli Stati Uniti in Kenya e Tanzania, nel 1998, nel continente africano “le organizzazioni jihadiste si sono sempre più diffuse e radicate, grazie anche a favorevoli condizioni sociali e politiche e sfruttando il malcontento attraverso politiche di welfare e di sostegno alla popolazione. In Libia, Mali, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Somalia, Nigeria, i jihadisti hanno dato prova di una visione strategica -rileva Di Liddo- che oggi dà i suoi frutti e che ha avuto l’effetto in molti casi di trasformare le lotte per l’autodeterminazione in progetti di terrorismo anti-occidentale“.

Si tratta di “un jihadismo ‘a macchia di leopardo’, costituito da cellule di organizzazioni diverse, come Al Shabaab in Somalia e Kenya o Boko Haram in Nigeria e Mali, che si estende dal Nord Africa ai Paesi subsahariani, ‘contagiando’ anche aree un tempo estranee a questo fenomeno. Non c’è più -continua Di Liddo- un’organizzazione piramidale che manovra le cellule, ma un network diffuso di gruppi eterogenei attivi sul territorio”.
14-MAR-16 16:02

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