ITALIANI CHE ODIANO L’ITALIANO (recensione a cura di David Taglieri)

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La lingua è un fattore unificante della cultura, della tradizione, della prepolitica e della politica di una Nazione, è l’elemento che offre un sentimento di appartenenza e l’emozione di riconoscersi vivi all’interno di un territorio, cemento di unità per le comunità e i popoli. Nella nostra Penisola non sempre è stato ricercato un giusto equilibrio fra il dinamismo figlio dell’evoluzione e della contestualizzazione spazio-temporale e la stabilità frutto del passato e dei valori acquisiti da quello che siamo stati ieri. Un dato inconfutabile è riconducibile al fatto la lingua italiana è stata letteralmente violentata negli anni della globalizzazione dagli internazionalismi e dall’inglese omologante, che tutti parlano ma nessuno conosce profondamente, tantomeno approfonditamente.

Maurizio Acerbi da anni è il critico cinematografico de il Giornale, che svolge questo ruolo con grande semplicità d’animo e allo stesso tempo con una fine cultura generale. È quanto realizza nel suo saggio Gli italiani che odiano l’italiano – edizioni Il Giornale fuori dal Coro.

Come tutti i giovedì il quotidiano diretto da Alessandro Sallusti e fondato da Indro Montanelli pubblica dei piccoli saggi, meglio dei quaderni piacevolissimi da godere, all’insegna della controrivoluzione rispetto al politicamente ed europeisticamente corretto ai quali ci hanno abituato negli ultimi 30 anni i media ufficiali.

Acerbi mette bene in evidenza le modalità attraverso le quali la nostra comunità linguistica si è americanizzata negli ultimi anni, assorbendo sic et simpliciter termini e terminologie delle quali non comprendiamo significato, provenienze, implicazioni e connessioni con il nostro italiano.

Oltretutto c’è da sottolineare – in relazione ai rapporti fra gli idiomi – quanto certe parole o addirittura frasi siano intraducibili senza effettuare una giusta e misurata decontestualizzazione, vista la lontananza ad esempio fra le lingue latine e quelle anglosassoni.

I peggiori responsabili in tal senso risultano essere i politici ed i mezzi di comunicazione, ovvero coloro che influenzano l’opinione pubblica.

Nell’introduzione Maurizio Acerbi ci ricorda che la canzone ironica di Renato Carosone ai suoi tempi poteva sembrare una presa in giro, una simpatica accettazione – sic et simpliciter – dei costumi stranieri, visti come qualcosa di esotico, distante e quindi affascinante.

Passati una sessantina d’anni quella che poteva sembrare semplicemente una provocazione si è tramutata in pura realtà.

Certo, per altro verso si potrebbe dire allo stesso modo che esistano dei vocaboli come sport e computer – aggiunge il nostro Autore – che sarebbe controproducente ed inutile trasporre in italiano, perché sono termini che non riescono ad individuare una traduzione precisa. E computer e sport restano nel nostro immaginario riconducibili a tale dizione.

Tutto altro discorso è l’esagerazione che si fa degli inglesismi abusati soprattutto negli uffici e nel contesto lavorativo, ma anche in altri ambiti: tante persone si sperticano nello squadernare un inglese di improbabile pronuncia con una certa spocchia globalista, forse con due finalità precipue, divise, ed in parte collegate: non farsi capire e ostentare una preparazione linguistica inesistente.

Alcuni inglesismi non corrispondono al senso che viene utilizzato nella lingua madre: ad esempio box, tanto adoperato per il posto auto, in inglese è una scatola e non il parcheggio: un anglosassone potrebbe ridere e chiedersi cosa ci siamo fumati se vogliamo mettere l’automobile dentro una scatola…

La globalizzazione sta tentando di uniformare il contesto linguistico mondiale, e di questo passo inserendo termini stranieri fra le frasi andremo a cancellare le differenze e la nostra stessa lingua.

Acerbi denuncia l’abuso della comunicazione in linea (iniziamo a parlare correttamente, altro che on line), con i relativi messaggi che contengono orrori di ortografia dettati dalla velocità, dalla fusione fra le lingue e dal permissivismo di certi insegnanti di liceo che elargiscono voti alti a chi non fa nulla, determinando ignoranza e stupro della lingua italiana. Con i messaggini si è tornati alla comunicazione primitiva.

Un saggio ironico quello di Maurizio Acerbi; allegro con tante chiavi di lettura e di riflessione, ma con uno scopo preciso: il ritorno alla lingua più bella del mondo, una controrivoluzione per salvaguardare la bellezza e la tradizione.

Sono tanti gli spunti e gli stimoli a recuperare il rapporto con la parlata di Dante, facciamo un salto in edicola o in libreria e non al bookstore…

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