KIRAN, UN’ALTRA CRISITIANA CONDANNATA A MORTE IN PAKISTAN. PER UN MESSAGGIO SU WHATSAPP

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Da Tempi del 24 Settembre 2024 l’articolo di Leone Grotti:

“Ha inoltrato per sbaglio un messaggio su Whatsapp ed è stata condannata a morte in Pakistan per presunta blasfemia”.

È l’ennesima, incredibile, storia di persecuzione quella che ha portato Shagufta Kiran nel braccio della morte della prigione centrale Adiala di Rawalpindi. L’infermiera di 40 anni si trovava in carcere in attesa di giudizio da oltre tre anni, dopo essere stata arrestata il 29 luglio 2021.

«Non diffondere la fede cristiana in Pakistan»

La madre di quattro figli, residente a Islamabad, partecipava da anni a diversi gruppi social per discutere di religione e promuovere la fede cristiana. Nel settembre 2020 inoltrò nella chat “Semplice discussione” un messaggio, che attirò subito l’attenzione di uno dei tre amministratori del gruppo, Shiraz Ahmed Farooqi.

Kiran era già stata avvertita con numerosi messaggi audio da parte di un amministratore del gruppo di non diffondere la fede cristiana, «altrimenti ci saranno gravi conseguenze». Quando Farooqi lesse il messaggio, lo giudicò “blasfemo” e inviò alcuni screenshot ad altri membri del gruppo estremista islamico di cui fa parte, il Ttnr, che poi denunciò la donna dopo pochi giorni.

Il Ttnr (Tehrik Tahaffuz Namoos-i-Risalat), acronimo per “Alleanza per difendere l’onore del Profeta”, è una rete di partiti e movimenti islamici che ha coagulato tutti i gruppi integralisti (anche di diverse scuole di pensiero) presenti in Pakistan. Il gruppo promuove pubblicamente una agenda di islamizzazione nazionale, difendendo con forza la legge sulla blasfemia e minacciando di morte quanti ne invocano l’abrogazione.

Kiran non ha scritto quel messaggio

Kiran ha inoltrato il messaggio incriminato, che era già stato condiviso molte volte, «senza avvedersene e senza neanche leggerlo», ha dichiarato il suo avvocato Rana Abdul Hameed. «Non è lei l’autrice».

Ma senza considerare attenuanti la polizia nel luglio 2021 ha fatto irruzione alle quattro del mattino nella casa di Kiran, arrestandola insieme a due figli, poi rilasciati. Dopo quattro giorni di interrogatorio, la donna è stata portata in carcere a Rawalpindi in isolamento, mentre la famiglia è fuggita da Islamabad, costretta a nascondersi dagli estremisti.

La condanna a morte «senza prove»

Accusata di aver offeso Maometto, e quindi di aver violato l’articolo 295-C del codice penale, Kiran è stata condannata il 18 settembre all’impiccagione in base alla temuta legge sulla blasfemia e al versamento di 300 mila rupie di multa. Tre giorni dopo, il 21 settembre, i difensori della donna hanno fatto ricorso davanti all’Alta corte di Islamabad, che l’anno scorso aveva rigettato la richiesta di rilascio su cauzione.

«Siamo molto delusi dalla sentenza», ha dichiarato ad Aiuto alla Chiesa che soffre internazionale Naeem Yousaf Gill, direttore esecutivo della Commissione nazionale giustizia e pace della Chiesa cattolica pakistana. «Giustizia non è stata fatta nel suo caso».

«Questa sentenza si basa sul pregiudizio», ha aggiunto il legale della donna, Hameed. «Il giudice non ha neanche studiato le prove né condotto un’indagine adeguata».

La scusa della blasfemia per perseguitare i cristiani

La tendenza ad abusare della legge sulla blasfemia per manipolare la giustizia e colpire i propri nemici è in continuo aumento in Pakistan. Dal 1987, anno in cui la legge discriminatoria è entrata in vigore, più di 3.000 persone sono state accusate di blasfemia. Solo tra gennaio e giugno di quest’anno 103 persone sono state portate in tribunale per blasfemia.

Tra il 1994 e il 2023 almeno 94 persone sono state assassinate senza processo da folle inferocite di estremisti, secondo i dati raccolti dal Center for Social Justice. L’anno scorso, sei accusati sono stati uccisi da privati cittadini, due da folle inferocite, mentre altre tre persone sono morte in carcere in attesa di giudizio.

Negli ultimi quattro anni i casi di blasfemia sono aumentati del 30 per cento rispetto al 2019-2020 e del 62 per cento soltanto negli ultimi due anni. Attualmente nel braccio della morte si trovano 40 persone.

La situazione è tanto più grave se si considera che «ogni volta che si presenta un caso di violazione dell’articolo 295-C, i giudici tendono a condannare l’imputato anche se le prove sono debolissime», ricorda l’avvocato Hameed. «Questo avviene a causa della pressione da parte di gruppi religiosi e per la paura che scoppino violenze».

Ma analizzando i casi, continua, «si vede anche che tutti i condannati in primo grado vengono poi assolti nei gradi successivi».

Anche se un’accusa di blasfemia non ottiene la morte fisica di colui che viene colpito, ne decreta sempre la “morte sociale”. 

Il caso di Asia Bibi – 3.420 giorni, quasi dieci anni, in carcere da innocente per poi essere costretta a espatriare una volta liberata – è emblematico. Ma non è certo l’unico.

La vicenda di Kiran ricorda ad esempio quella di Shafqat Emmanuel e sua moglie Shagufta Kausar: la coppia cristiana ha passato sette anni nel braccio della morte in Pakistan per false accuse di blasfemia, legate all’invio di presunti sms blasfemi nel 2013, prima di essere liberata il 3 giugno 2021.

Kiran non ha potuto partecipare fisicamente al processo per ragioni di sicurezza, ma dalla sua cella di isolamento ha seguito le udienze tramite video collegamento. Nel suo intervento, riporta il pakistano The Nation, ha parlato così:

«Sono una povera donna cristiana e il querelante mi ha accusata in modo falso per farsi bello agli occhi dell’opinione pubblica. Non ho commesso nessun reato e non potrei neanche mai pensare di insultare le nobili personalità dell’islam. Il querelante vuole imporre la sua teoria dell’islam su di me ma io, essendo cristiana, rispetto la mia propria religione e continuo a credere che sia quella vera. È il rancore, insieme a secondi fini, ad aver spinto il querelante ad accusarmi con la menzogna».