L’ECCIDIO DI SMIRNE (Il Corriere del Sud, n° 2, 15-28 febbraio 2007)

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Il 1912 segnò un ulteriore punto di crisi per l’Impero ottomano.

In quell’anno l’Albania conquistava l’indipendenza da Istanbul. Nel 1912 iniziavano le guerre balcaniche, che vedevano coalizzati contro la Sublime Porta i vari Stati ortodossi della penisola.

Alla fine di tali guerre, nel 1913, la Turchia conservava in Europa solo la Tracia orientale e il risultato sarebbe stato ancora più pesante se la Bulgaria non avesse rotto il fronte alleato delle forze cristiane. Nel 1912 l’Italia si avventurava nell’impresa coloniale di Libia, strappando ai Turchi il controllo di tutta la zona costiera (Cirenaica e Tripolitania) e del Dodecaneso.

La prima guerra mondiale, con la partecipazione dell’Impero ottomano al fianco degli Imperi centrali, ne causava il definitivo collasso. Le potenze vincitrici – Francia e Gran Bretagna in testa – approfittarono del la disfatta ottomana per al largare la propria influenza in tutto il Medio Oriente. In prospettiva anti-turca i Britannici avevano promosso la rivolta araba, che partendo da La Mecca era risalita fino alla Trans-Giordania e alla Siria. Lawrence d’Arabia fu il simbolo di tale vittoriosa collaborazione anglo-araba. Finita la guerra gli Arabi presentarono il conto della cobelligeranza, e, a cavallo fra gli anni ’20 e gli anni ’30, sia pure sotto influenza inglese, si costituirono i regni indipendenti dell’Arabia Saudita (sotto la dinastia wahabita dei Saud) e dell’Iraq (sotto la dinastia ashemita). Il regno iracheno fu ritagliato a tavolino (clichè purtroppo tipico di certa politica coloniale e post-coloniale), privilegiando la componente sunnita rispetto a quella sciita. Ciò sarà alla base, unitamente al problema curdo, delle future difficoltà di convivenza civile.

La Siria e il Libano passarono sotto mandato francese. Anche in tale caso furono poste le premesse etniche e demografiche di futuri contrasti: al Libano, allora principalmente cristiano e druso, furono annessi territori completamente musulmani, come tutta la zona settentrionale intorno alla città di Tripoli.

La stessa penisola anatolica fu occupata dalle Potenze dell’Intesa, che ora presidiavano lo stretto sul Bosforo e vaste zone litoranee. Se ad occidente erano state sottratte ai Turchi Istanbul e Smirne; ad oriente si era costituita una Nazione armena indipendente dalla Russia, che aspirava ad annettere i territori armeni situati entro il confine turco e già teatro, pochi anni prima, del feroce genocidio del 1915. Come se non bastasse, a livello internazionale si discuteva circa l’eventualità di far nascere il libero Stato del Kurdistan, che avrebbe inevitab ilmente sottratto altri territori alla Turchia.

Il sultano ottomano Maometto VI, che formalmente rivestiva le supreme cariche politiche e religiose del Paese, si trovava in una situazione di soggezione nei confronti delle potenze alleate che avevano vinto la Grande Guerra.Contro questo stato di cose reagì il generale turco Mustafà Kemal (1881-1934), in seguito riconosciuto come “Ataturk” (padre della Patria).

Insorto in nome del nazionalismo turco, Kemal minacciava di far fallire le decisioni prese alla conferenza di Versailles del 28 giugno 1919 e il successivo trattato stipulato dal Sultano a Sevres, sempre in Francia, che assicurava riparazioni di guerra e vantaggi territoriali a Gran Bretagna, Francia, Italia e Grecia.

Furono quindi le forze elleniche, dietro mandato di Francia e Regno Unito, a muovere dall’enclave di Smirne verso Ankara, contro il quartier generale di Mustafà Kemal. All’inizio le operazioni andarono piuttosto bene per i Greci, ma il 16 marzo 1921 veniva siglato un patto di amicizia fra Lenin e Ataturk. Da quel momento le potenze occidentali fecero mancare il proprio sostegno al piccolo esercito greco che, mal condotto anche a causa delle profonde lotte politiche nate in seno all’esecutivo ellenico, fu battuto sul fiume Sakarya, a quaranta miglia da Ankara.

Per la Grecia era l’inizio di un nuovo dramma.

Smirne – l’odierna Izmir – era, ed è tuttora, una grande città portuale posta immediatamente dinanzi alle isole dell’Egeo. Nel 1922 la sua popolazione era prevalentemente greca e cristiana. Mustafà Kemal esaltato dalla vittoria sul fiume Sakarya decise di riprendersi la città con la forza. Egli stesso guidò l’offensiva e in pochi giorni riuscì ad avere ragione dell’esercito greco. Il 9 settembre 1922 i Turchi entrarono a Smirne, mentre i Greci, militari e civili, si davano ad una fuga tanto disordinata quanto disperata.

I Turchi incendiarono la città. La popolazione si riversò sulle banchine in cerca di ogni imbarcazione utile per fuggire, ma molti rimasero intrappolati fra le fiamme. Fra questi troviamo lo stesso metropolita di Smirne, il vescovo Crisostomo, ” che nel 1922, nei tragici giorni dell’esodo dei Greci dalla Turchia, non volle abbandonare i suoi fedeli in fuga e, con la complicità delle truppe turche appena entrate vincitrici in città, venne linciato dalla folla dei musulmani“. Così si legge nel libro di Enrico Morini (Gli Ortodossi, l’Oriente dell’Occidente, Il Mulino, Bologna, 2002, pag.71).

Un altro autorevole storico di cose greche, lo scrittore Rocco Aprile, scrive: “ Man mano che le soldatesche turche avanzavano, rastrellavano i territori conquistati, bruciavano le case e massacravano gli abitanti, portando via tutto ciò che trovavano. A loro si affiancavano contadini e pastori, che finalmente potevano porre mano sui beni degli odiati infedeli. Ancor prima che l’esercito turco arrivasse a Smirne, sui moli del porto, lungo le spiagge del golfo, a Mudanià e in tutti i posti di mare, in cui erano reperibili battelli e scialuppe, si precipitavano decine di migliaia di persone, in preda a panico indescrivibile, disputando coi denti un posto su un’imbarcazione Sui moli del porto, nelle piazze e nelle vie i Turchi si abbandonarono ad un’orgia allucinante, sgozzando bambini, violentando donne, lasciandosi andare ad un sadismo feroce; la barbarie a siatica si scatenava, ancora una volta, con inaudita violenza ai danni degli inermi e dei deboli. Migliaia di giovani di Smirne e della regione circostante furono fatti prigionieri e mandati nei campi di concentramento dell’interno, i famigerati Amelè Tamburù, dove poi morirono di stenti e di fame” (Rocco Aprile, Storia della Grecia moderna, Capone Editore, Lecce, 1984, pagg.194-195). La ricca città di Smirne, la perla dell’Egeo, cristiana da secoli e probabilmente visitata dalla stessa Madre di Gesù durante la sua permanenza ad Efeso ospite di San Giovanni Apostolo, fu incendiata e spazzata via. Anche ad oriente i kemalisti vincevano, respingendo per sempre gli Armeni dall’Anatolia e costringendoli alla pace.Così, nel giro di pochi anni, tanto agli estremi confini orientali che a quelli occidentali veniva consumata la definitiva eliminazione delle più numerose minoranze cristiane dell’Anatolia: quella armena e quella ellenica.

Ataturk nel corso della sua marcia trionfale, appoggiato da Lenin e con la silenziosa compiacenza dei grandi d’Europa, nell’ottobre del 1922 si riprendeva Istanbul e, sbarcato in Europa, riconquistava anche la Tracia orientale, vanificando per la Grecia tutte le favorevoli condizioni stabilite a Versailles.

Mentre alla fine del 1922 il sultano Maometto VI scortato dagli Inglesi si avviava tristemente in esilio, al figlio Abdul-Megid veniva consentito di conservare la carica di suprema guida dell’Islam. Ma nel 1924 Mustafà Kemal giudicava i tempi ormai maturi per decretare il definitivo tramonto del califfato, in tutte le sue forme. Proclamava quindi la nascita della repubblica turca, di cui diventava il primo presidente.

Roberto Cavallo

(“Il Corriere del Sud”, n°2 febbraio 2007)

1 commento

  1. In quella tragica situazione la Marina Militare italiana,anche se in ritardo secondo le possibilità dell’epoca, guidata dall’ammiraglio Alberto Viscardi,venne in aiuto degli scampati greci e armeni a quell’orribile eccidio,macchia del pur grande Ataturk,che cancellava l’occidente e i cristiani da Smirne. Ataturk ebbe in seguito il merito di laicizzare la Turchia fondando una Repubblica che si rifaceva ai modelli occidentali. Sono il nipote omonimo dell’ammiraglio Viscardi ,lpluridecorato delle massime onorificenze britanniche, francesi e italiane.Morto 62enne nel 1934,un anno prima della mia nascita e di cui porto il nome e cognome.

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