L’ITALIA CATTOLICA NELL’EPOCA DEL PLURALISMO

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11415.gif I fluss i migratori e un diffuso secolarismo alimentano in tutta Europa il pluralismo religioso.

L’ Italia, pur non distaccandosi da tale quadro di fondo, presenta però delle proprie peculiarità, che ne fanno una realtà tutto sommato atipica nel contesto del cristianesimo occidentale.

Il professore Franco Garelli, docente di sociologia della religione nell’Università di Torino, espone tale complessa situazione nel volume “L’Italia cattolica nell’epoca del pluralismo“, (Società editrice il Mulino, Bologna, 2006, pagg. 169, euro 11,00).

Nel I capitolo, Ethos collettivo e religione, l’Autore osserva come anche fra i non credenti vi sia un apprezzamento positivo verso la religione, per il ruolo costruttivo che essa riesce a giocare nel campo dei valori, in una società sempr e pi ù destrutturata quale è quella contemporanea: è il riconoscimento che occorre ricercare nelle matrici religiose i fondamenti di una convivenza, di una “casa comune” che contrasti le tendenze particolaristiche e disgreganti; è il riconoscimento che anche nella modernità la religione ha un ruolo di rilievo da giocare, proprio perchè la modernità è di per sè carente di valori fondanti.

Detto questo, la riflessione sulle questioni ultime – il senso della vita e della morte – non sembrano però coinvolgere i più in una riflessione che da esistenziale si trasformi in religiosa. La conseguenza è, in generale, una forma di privatizzazione e di individualizzazione della fede, con credenze talora importate anche da esperienze religiose diverse da quella tradizionale cristiana. Il risultato è una specie di bricolage, di un fai-da-te della fede, che sta stemperando il senso di appartenenza dei cristiani.

Il secondo capitolo – Il sentimento religioso in Italia – affronta lo stato di salute dei cattolici in Italia. Per meglio comprendere la situazione nazionale è utile dare uno sguardo ad un Paese storicamente privilegiato del cattolicesimo: la Francia. Ebbene oltralpe il quadro è piuttosto desolante, con vocazioni sacerdotali e religiose in diminuzione e una Chiesa che in genere non riesce a mobilitare le coscienze, e men che meno quelle degli intellettuali. In effetti il processo di secolarizzazione in Francia è molto più avanzato che in Italia. Qui non solo l’emorragia vocazionale si è arrestata, ma il sentimento religioso oltre alla dimensione privata trova nel territorio – nelle parrocchie, nei santuari, nei monasteri – un’espressione pubblica vivace. La voce della Chiesa è maggi ormente accettata, malgrad o le riserve – espresse o non espresse – soprattutto in materia etico sessuale. Dunque l’Italia si distingue rispetto ad altri Paesi occidentali per il prevalere della religione tradizionale non solo nelle tappe fondamentali del vivere umano (nascite, matrimoni, morte), ma anche nell’associazionismo e nella presenza attiva sul territorio. Il laicato cattolico impegnato, scrive l’Autore nel capitolo III – Sfide per il mondo cattolico – costituisce una percentuale di tutto rispetto della popolazione italiana: circa il 10%, che è più o meno un terzo di quel 30% di italiani che frequentano con regolarità i riti religiosi. Il problema è che il tessuto ecclesiale di base, e cioè le parrocchie, di solito non alimentano la formazione socio-culturale di un laicato che pur necessiterebbe di essere più preparato al confronto con la società secolarizzata. I parroci si accontentano, in genere, di gestire l’esistente, con scarsa propensione strategica alla formazione permanente. Politicamente la maggioranza del clero continua a mantenersi su posizioni centriste, anche se circa il 30% dei sacerdoti intervistati non ha difficoltà a definirsi di “centro-sinistra”, a fronte di poco più del 5% che dichiara la propria simpatia per il centro-destra.

Il capitolo IV – Le giornate mondiali della Gioventù – conferma che lo zoccolo duro del 10% di italiani impegnati attivamente nel laicato cattolico traspare anche dalle indagini condotte fra i giovani, dove si registra la medesima percentuale. Le ragioni di tale successo (considerando il processo di secolarizzazione in atto) dipende in buona parte dalla forza aggregante dei movimenti, che soprattutto con il loro leaders carismatici attraggono fortemente i giovani, mentre un sostegno notevole è venuto dalle GMG (le giornate mondiali della gioventù) promosse da Giovanni Paolo II.

Se il 10% circa sono i giovani “impegnati”, vi è comunque un buon 80% di ragazzi che non ha difficoltà a dichiarare la propria appartenenza alla Chiesa, anche se solo il 30% frequenta con regolarità le funzioni religiose. Si tratta dunque degli stessi dati che valgono per gli adulti. Dal punto di vista culturale il problema maggiore è l’accettazione, ma forse meglio sarebbe dire la comprensione, del magistero cattolico sulle tematiche etiche di carattere sessuale.

Nel V capitolo – Giovani, religione e sessualità – il professore Garelli afferma così che quasi l’80% dei giovani cattolici ammette comportamenti che invece sono vietati dalla Chiesa, quali il divorzio, la convivenza, i rapporti sessuali al di fuori del matrimonio.

Insomma l’influsso della religione nel campo della morale sessuale e familiare appare rilevante solo per la fascia ristretta dei giovani più “impegnati”, mentre sul tema dell’aborto il distacco fra i giovani cattolici e il resto dei loro coetanei è sensibilmente più netto, con una risoluta opzione fra i giovani cattolici per la tutela ad oltranza del nascituro.

Il VI capitolo – Piazze piene e chiese vuote? – pone (da un certo punto di vista nella sua nuda drammaticità) il problema del senso dei grandi raduni pubblici suscitati specialmente da Giovanni Paolo II, problema suscettibile di essere descritto anche con la seguente metafora: ” la gente applaude il cantante, ma dimentica la canzone!”. Certamente alla base della partecipazione della gente ai grandi meeting cattolici, iniziando dalle giornate mondiali della gioventù, vi è il bisogno di appartenenza, il desiderio di “esserci” nei grandi eventi che hanno risonanza mediatica. Ma a ciò corrisponde, come si diceva, anche un 30% di popolazione italiana che frequenta con cadenza almeno settimanale i riti religiosi, a fronte del 10% circa della Francia, che pure è Paese di grande tradizione cattolica. Quindi il paradosso piazze piene chiese vuote, almeno per il caso italiano, è vero ma solo fino ad un certo punto. Concludendo, l’Autore afferma che: ” Le chiese, dunque, non sono vuote, anche se le piazze si riempiono sempre più spesso di fedeli, ma anche di gente comune e dai riferimenti incerti, attratta da eventi di massa capaci di rendere evidenti le ragioni dello spirito e di celebrare il carisma di alcune grandi figure della carità e della fede“. Le chiese dunque non sono vuote, anche se da certo punto di vista è più facile riempire le piazze

Nel capitolo VII – La rilevanza pubblica del cattolicesimo italiano – si riconosce il merito indiscusso del pontefice polacco nell’aver affermato la plausibilità della fede cristiana nella società contemporanea e la sua irriducibilità alle varie istanze culturali prevalenti. Questo “sasso” lanciato da Karol Wojtyla è stato raccolto in modo del tutto positivo dalla Chiesa italiana, anche a costo di suscitare proteste e divisioni nell’ambiente culturale nazionale (la vittoria al referendum sulla procreazione assistita e la polemica odierna sui DICO sono quanto mai emblematici a tal proposito!). Accade così che molte conferenze episcopali di altri Paesi guardino con particolare attenzione a quanto espresso dalla Chiesa italiana. Scrive il professore Garelli (pag.137): ” La cultura cattolica pare nuovamente in grado di scrivere la storia Gli italiani possono anche essere secolarizzati, ma possiedono una dimensione misterica e armonica della vita (una pietas) che preclude loro di riconoscersi nelle posizioni più disinvolte della cultura libertaria e radicale. La vita è una risorsa troppo preziosa per essere trattata a colpi di referendum o per essere ridotta a un’opzione tecnologica“.

L’VIII ed ultimo capitolo – Il pluralismo religioso in Italia – testimonia che anche il confronto con altre minoranze religiose vede la Chiesa italiana in pole position rispetto ad altre realtà ecclesiali come, per esempio, la Francia. Mentre qui le fedi religiose diverse dalla cattolica coinvolgono l’11% della popolazione, in Italia non superano il 2%. Nell’ordine troviamo gli Islamici, gli Evangelici, gli Ortodossi, i Testimoni di Geova .

I nuovi movimenti religiosi avvertono comunque oggettive difficoltà di crescita, e questo è dovuto anche al complessivo buono stato di salute della Chiesa italiana, divenuta modello soprattutto per le nuove Chiese dell’Est europeo.

In conclusione, l’Autore avverte che la religione in generale, e in Italia quella cattolica in particolare, non viene più avvertita come una “debolezza psicologica”, ma come “ una risorsa in grado di alimentare il benessere della persona, di arricchire il suo potenziale umano, di richiamarla a prospettive e a sentimenti più elevati “.

Roberto Cavallo

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