LA FAME DI DIO, IN UN MONDO SECOLARIZZATO (di Marco Invernizzi)

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Mi ha fatto impressione leggere due articoli come quelli di Antonio Polito ed Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera. Il primo ha scritto il 5 aprile che «il processo di secolarizzazione, anche nel Paese più cattolico d’Europa, ha ormai espunto la fede dal dibattito pubblico, come se fosse un sentimento privato, rispettato sì, ma in definitiva inutile al corpo sociale» e che miti e riti servono anche agli uomini contemporanei per costruire una comunità.

Il secondo, sul Corriere del 7 aprile ha denunciato come la débacle della politica odierna nasca dal rifiuto della dimensione religiosa e della cultura classica, il cui abbandono è all’origine della «drammatica impotenza politico-ideale della costruzione europea».

Entrambi fanno una semplice constatazione: senza la religione non si costruisce una comunità, non si riesce a stare insieme: «la realtà religiosa fa parte del bene comune temporale» scriveva il card. Jean Daniélou (1905-1974) nel suo L’orazione, problema politico (Arkeios 1993, p. 68).

Queste riflessioni ci portano dentro il nostro problema odierno. Viviamo una situazione drammatica, con anziani che muoiono come mosche almeno in alcune regioni del Nord, ma la religione rimane sostanzialmente assente dal dibattito pubblico, addirittura in un momento così fondamentale per la vita di una comunità come la morte, tramite la quale l’uomo tocca un mondo che lo supera.

E allora come fare per superare questa condizione?

La prima preoccupazione è quella di non apparire superficiali di fronte alla pandemia, che è seria e grave. Ma questo basta a giustificare l’assenza della Chiesa dalla dimensione pubblica? Credo di no e mi spiego.

La Chiesa insegna l’importanza della salute? Certamente. Basta leggere il Catechismo della Chiesa Cattolica: «La vita e la salute fisica sono beni preziosi donati da Dio. Dobbiamo averne ragionevolmente cura, tenendo conto delle necessità altrui e del bene comune.» (n. 2288 CCC).

La Chiesa ha finora dimostrato poca attenzione alla salute del popolo minacciata dal Covid 19? Sarebbe impossibile sostenerlo.

E allora come siamo arrivati alla condizione descritta dai due opinionisti sul Corriere della Sera? Come è stato possibile che i Paesi europei non siano in grado di prendere una decisione politica insieme perché non hanno più valori che li accomunino? Come è possibile che nel dibattito pubblico in Italia la religione sia così assente? E questo è un problema soltanto della Chiesa che vede vanificata la sua presenza in mezzo ai popoli oppure è un problema che riguarda il bene di tutta la comunità? Come ha detto mons. Camisasca in una intervista al nostro sito, «Una Chiesa ridotta alle sagrestie non fa bene allo Stato»: ma ne siamo veramente convinti?

Certo, il secolarismo nasce al di fuori della Chiesa e si impone nelle società occidentali nel corso dei secoli XIX e XX. Oggi possiamo dire che si sta raccogliendo quanto è stato seminato: la religione è assente dal dibattito pubblico perché è stata volutamente emarginata dalle forze politiche (in alcuni casi anche da quelle di ispirazione cristiana) che hanno guidato i popoli in questi due secoli e da quelle che continuano a guidarli nell’attuale epoca post-ideologica. Come scriveva san Paolo VI nell’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi (1975) il grande dramma della nostra epoca è la separazione della fede dalla cultura.

Ma, per rispondere ai quesiti posti da Polito e Galli della Loggia, abbiamo fatto e stiamo facendo tutto il nostro dovere, come cattolici, per fare fronte a questa situazione?

Nel caso concreto dell’emergenza sanitaria di questi giorni: mettiamo tutto l’impegno di cui siamo capaci, lo stesso che abbiamo nel rispettare i provvedimenti governativi per garantire la salute nostra e dei concittadini, anche nel cercare di offrire a tutti la religione nella sua dimensione pubblica?

Sono domande che portano a fare un esame di coscienza da parte di tutti i cattolici, fedeli e Gerarchia. Per esempio, abbiamo detto a tutti i fedeli che, come si può fare la fila e rispettare le distanze in edicola, aspettando il proprio turno per comprare il giornale, altrettanto si può fare per confessarsi e ricevere l’eucarestia in chiesa, senza con ciò disattendere le indicazioni dell’autorità?

Nessuno si deve sostituire a chi ha il compito istituzionale di trattare con le autorità civili e quindi di decidere il comportamento da tenere. Quello che posso solo sottolineare è il desiderio accorato e sincero di non privare tutti gli italiani oggi della possibilità di incontrare Dio, non solo i fedeli ma anche quelli che in un momento difficile sono portati a entrare in una chiesa per ricevere misteriosamente qualcosa che desiderano e magari non sanno bene esprimere.

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