LA FIGURA E L’OPERA DI MONS. ROBERTO RONCA NELL’ITALIA DEL DOPOGUERRA (Il Corriere del Sud, n° 7 del 20 giugno 2008, pag. 3)

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Nella sua nuova fatica letteraria lo scrittore e pubblicista Giuseppe Brienza (cultore di Storia del cristianesimo e della Chiesa, estensore di svariati saggi di storia religiosa e politica) pubblica per i tipi delle Edizioni D’Ettoris un libro importante. Importante in quanto riporta alla luce, con sistematicità ed abbondanza di riferimenti, una biografia degna di essere recuperata dal consueto oblio della storia.

Il libro ha per titolo “Identità cattolica e anticomunismo nell’Italia del dopoguerra. La figura e l’ opera di mons. Roberto Ronca (D’Ettoris Editori, 2008, Crotone, pagg. 243, euro 18,90) e tratta di un periodo delicato della nostra vicenda nazionale: il passaggio dal fascismo al nuovo ordinamento costituzionale, fino al consolidarsi della vita politica italiana con i governi prima centristi – a larga egemonia democristiana – e poi di centrosinistra. Perché dunque è importante questo libro? Perché ricostruisce un progetto sociale e politico che, alla luce di quanto è accaduto in Italia dal 1994 in poi, risulta di straordinaria attualità, per non dire profetico. La figura di Mons. Ronca, infatti, insieme al movimento “Unione Nazionale Civiltà Italica” da lui fondato nel 1946, rappresenta quasi un antesignano tentativo di gettare le premesse culturali di quella Casa della Libertà – oggi Popolo della Libertà -, che ha dato espressione politica al sentimento conservatore – ma non neo-fascista – dell’Italia moderata e cattolica.

Mons. Ronca (1901-1977) dopo essersi laureato in ingegneria all’Università “La Sapienza” di Roma, abbandonò la vita secolare per farsi sacerdote. Fu ordinato il 7 aprile 1928. Per anni rettore del Pontificio Seminario Maggiore del Vaticano ed assistente spirituale della FUCI (1931-1948), fin da subito il sacerdote Ronca fu costretto a scontrarsi con l’ala progressista della Chiesa. Ostilità che crebbe nel secondo dopo guerra, quando il suo movimento inevitabilmente si pose in controtendenza. Ancora troppo forte era infatti il sospetto suscitato dall’antifascismo militante contro chiunque manifestasse sentimenti moderati ed anticomunisti. Inoltre la prospettiva marxista era in quei tempi nella sua parabola ascendente, godendo di una forte rendita propagandistica ed elettorale grazie alla mitologia relativa ad utopici paradisi socialisti. Fu proprio Mons. Ronca, con cura e con rigore culturale, ad iniziare a smontare, almeno in Italia, quella mitologia: con conferenze e con riviste, con giornali e con ogni mezzo a sua disposizione svergognò il comunismo per ciò che esso era.

Mons. Ronca durante la seconda guerra mondiale e l’occupazione nazista di Roma si era prodigato, sotto le direttive di Pio XII, nel salvare la vita ad ebrei e perseguitati politici, accolti e nascosti in Vaticano. Dunque non poteva certo essere accusato di simpatizzare per il vecchio regime, i cui errori conobbe e criticò. Ma al momento di ricostruire l’Italia del dopoguerra, il pericolo non era più rappresentato dal fascismo ma dalle forze sovversive della sinistra, tenacemente ispirate da Mosca nel contesto della guerra fredda.

Pur rimanendo sempre sul piano socio-culturale, e dunque pre-partitico, Mons. Ronca cercò di tessere accordi e strategie con quelle forze del centro-destra che erano guardate come il fumo agli occhi non solo dai partiti di sinistra ma pure dalla dirigenza democristiana. E, triste ma vero, da ambienti ecclesiastici imbevuti di modernismo, che, già sotto Pio XII, giudicavano imprescindibile non solo il “dialogo” ma pure la collaborazione con la sinistra social comunista. Erano gli epigoni delle strategie di Giuseppe Dossetti, destinate a stravolgere con la loro forte influenza il pensiero sociale cattolico per tutti gli anni a venire: la prospettiva politica che da Dossetti ad Aldo Moro egemonizzava la linea del partito democratico cristiano rifiutava sì l’ateismo comunista, ma assecondava la visione progressista della storia, dalla Rivoluzione francese al fascismo.

A quelle moderne elucubrazioni pastorali Mons. Ronca opponeva lo zelo sacerdotale, accompagnato da una profonda conoscenza della dottrina sociale della Chiesa e da una solida vita di pietà. Non a caso era solito ripetere che “… I Sacramenti non sono guanciali su cui riposare, ma armi da combattimento da impugnare“. Trasfuse questo suo genuino entusiasmo spirituale nei seminaristi e negli universitari che gli furono attorno.

Fu Mons. Ronca a coadiuvare nel Centro e Sud Italia l’azione politico-elettorale dei Comitati Civici di Luigi Gedda alla vigilia del 18 aprile del 1948. Va anzi precisato che il tipo di organizzazione, la cultura politica e il modus operandi di Civiltà Italica ricordano per molti aspetti i Comitati Civici costituiti – successivamente ad essa – dal prof. Luigi Gedda.

Il 21 giugno 1948 Mons. Ronca fu elevato alla dignità vescovile e un mese dopo nominato Vescovo di Pompei. Qui riprese i suoi ideali di società cristiana, tanto che la cittadina campana divenne per quasi un decennio il laboratorio di una politica cattolica ma “non democristiana”. Era inevitabile che la dirigenza D.C. prendesse in odio questo Vescovo che rifiutava l’idea del “centro che guarda a sinistra”. Mons. Ronca, piuttosto, preferiva guardare a destra: ai Monarchici, all’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini, al Liberali, al neonato MSI.

Non lesinò energie, tuttavia, per evitare la deriva a sinistra della D.C. Ciò sembrò quasi a portata di mano con il progetto Sturzo: il sacerdote di Caltagirone rientrato dal lungo esilio post-bellico, avrebbe dovuto guidare una grande coalizione di centro-destra che, dopo il successo elettorale del 1948, aveva tutte le carte in regola per bissare il buon risultato in occasione delle amministrative a Roma del 25 maggio 1952. L’esperimento dalla capitale doveva poi estendersi al resto d’Italia. Ma all’interno della D.C. e dell’Azione Cattolica prevalse la linea progressista, e purtroppo non se ne fece più nulla.

L’esperimento, come si diceva, riuscì invece nella sua Pompei, dove la “Lista Bartolo Longo” di ispirazione cattolico-conservatrice amministrò la “Città mariana” dal 1952 al 1955. Anche in altre città – specie dell’Italia meridionale – si ebbero comunque amministrazioni di centro-destra elette con l’appoggio determinate del Comitati civici facenti capo a Civiltà Italica e a Mons. Roberto Ronca.

Richiamato da Pompei a Roma sulla scia di false accuse montate ad arte, e quindi successivamente rivelatesi del tutto inconsistenti, Mons. Ronca terminò la sua esperienza sacerdotale ed episcopale come “Vescovo delle carceri”, che svolse dal 1962 al 1976 in qualità di Ispettore dei cappellani presso il Ministero di Grazia e Giustizia. Anche in tale veste si fece apprezzare per il suo zelo pastorale verso la popolazione dei detenuti.

Intanto la possibilità per i cattolici di esprimersi con formule politiche diverse da quella democristiana era per il momento tramontata: la tesi del partito unico dei cattolici, destinata a dominare la scena italiana per 40 anni, avrebbe dato vita a quella “balena bianca” il cui esito politico è a tutti noto.

Mons. Ronca, spentosi nel 1977, preconizzò – senza riuscire a vederne la concreta realizzazione -, quella casa politica degli Italiani dove essere cattolici ed essere di destra non era più cosa di cui vergognarsi.

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