LA QUESTIONE DI CIPRO (Corriere del Sud, n°3, 1 Marzo/15 Marzo 2007)

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geografia51.jpg Abbiamo visto nelle precedenti puntate che il 1878 fu una data importante per l’indipendenza di molti popoli balcanici dal dominio ottomano. In quell’anno anche sull’isola di Cipro, dopo tre secoli di occupazione turca, veniva ammainata la bandiera della mezzaluna.
Nonostante le legittime aspirazioni della locale popolazione greca al ricongiungimento con la madre patria, i giochi politici delle grandi potenze europee fecero sì che l’isola passasse sotto l’amministrazione della Gran Bretagna, che nel 1915 la annetteva formalmente al proprio impero.
Cipro infatti per la sua posizione strategica nel Mediterraneo orientale costituiva una pedina determinante per il controllo del potere marittimo.
Il processo di decolonizzazione e di autodeterminazione dei popoli degli anni ’50 consentì anche a Cipro, dopo cinque anni di lotta, di acquistare nel 1960 la piena indipendenza dalla Gran Bretagna, che conservò a Cipro , e tuttora conserva, due basi militari.
Anche in quell’occasione la Turchia fece di tutto per impedire la pacifica ricongiunzione di Cipro alla Grecia, nonostante la minoranza turca nell’isola si attestasse sulle 80.000 persone, a fronte dei circa 700.000 greco-ciprioti.
Nel 1974, s seguito del colpo di stato avvenuto in Grecia ad opera dei colonnelli, il 20 luglio l’esercito turco invase la parte nord-orientale dell’isola. Nonostante la strenua resistenza dei greco-ciprioti, l’esercito turco occupò circa il 34% del Paese, facendo vittime fra la popolazione civile e provocando oltre 200.000 rifugiati, che dovettero abbandonare le proprie case e trasferirsi nella zona sud-occidentale.
Il 16 agosto 1974 nel nord-est venne proclamato uno Stato federale turco-cipriota.
Nove anni dopo, il 15 novembre 1983 nasceva ufficialmente la Repubblica turca di Cipro del Nord, a cui la comunità internazionale ha costantemente negato il proprio riconoscimento. Negli anni oltre centomila coloni dall’Anatolia sono venuti a popolare questa parte di Cipro, anche per dare una parvenza di legittimità alla presenza armata dell’esercito.
Ancora oggi, a 33 anni di distanza, una lunga linea verde, che spacca in due anche la capitale Nicosia, separa la parte greca da quella turca, mentre un contingente delle Nazioni Unite svolge compiti di peace-keeping.
Quello eretto a Nicosia è l’ultimo muro d’Europa.
Il notevole patrimonio culturale che si trova nella parte turca di Cipro, per un totale di 520 edifici sacri (stupende chiese bizantine e romaniche, monasteri imponenti, con mosaici ed affreschi) è stato saccheggiato e quasi distrutto, non solo per incuria e vandalismo ma anche perchè si trattava di vestigia della millenaria presenza cristiana. In effetti l’isola di Cipro è stata la sede della più antica comunità cristiana sul suolo europeo e la presenza dei crociati ha lasciato, specie nella città di Famagosta, b ellissim e chiese in stile romanico e gotico. A queste si aggiungono i tesori dell’arte bizantina, in particolare il grande patrimonio di icone preziose (circa 20.000). Si capisce allora perchè i Musulmani qui siano stati particolarmente irriguardosi anche nei confronti dell’arte.
A seguito dell’incontro avvenuto in Vaticano lo scorso 10 novembre 2006 tra Benedetto XVI° e il presidente della Repubblica greco-cipriota Tassos Papadopoulos, quest’ultimo ebbe a dire: ” La Santa Sede e Cipro si trovano d’accordo nel deplorare le profanazioni e i saccheggi degli edifici di culto cristiani nella parte settentrionale dell’isola, occupata dall’esercito turco“.
L’Accademia bizantina di Nicosia ha raccolto una documentazione impressionante: oltre 150 chiese greco-ortodosse sono in stato di abbandono, 78 sono state trasformate in moschee, 28 vengono utilizzate come depositi militari e 13 sono adibite a stalle. Nella zona costiera invece gli edifici un tempo dedicati alle funzioni religiose sono stati trasformate in bar e ristoranti. Chi scrive è stato in vacanza a Cipro, e, almeno a Famagosta, ha visto esattamente queste cose: chiese trasformate in moschee oppure ridotte in un pietoso stato di abbandono, piene di erbacce e ricettacolo di rifiuti.
Il 3 luglio 2006 il Parlamento europeo ha approvato una dichiarazione “Sulla tutela del patrimonio religioso nella parte nord di Cipro“, con cui si condanna il saccheggio di chiese e di monasteri e si invita la Commissione e il Consiglio, massimi organi dell’Unione Europea, ad ” adottare tutte le misure necessarie per garantire la protezione degli edifici di culto ed il ripristino della loro condizione originaria” (Luigi Geninazzi, Al Nord chiese trasformate in stalle, in: Avvenire, sabato 11 novembre 2006, pagina 3).
A proposito di Europa, c’è da dire che la Repubblica greco-cipriota già fa parte, a partire dal 1° maggio 2004, del gruppo di 25 Paesi (27 dal 1° gennaio 2007) membri dell’U.E.
Poichè la Turchia non ha rapporti ufficiali con la repubblica greco-cipriota, che si ostina a non voler riconoscere, paradossale diventerebbe la situazione politica fra i due Stati se anche la Turchia dovesse entrare, in un prossimo futuro, nell’Unione Europea.

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