LE SINISTRE E I POVERI (di Marco Invernizzi)

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Poco più di un anno fa la Fondazione Hume pubblicò un articolo di Paolo Natale in cui il sociologo faceva stato di questa novità rispetto all’epoca delle ideologie, quando essere povero significava, anche se non sempre in modo così automatico come si pensava, appartenere al mondo della sinistra.
Certamente oggi non è più così. Non lo è senz’altro in Italia, dove nelle grandi città si sono capovolti i dati elettorali rispetto al passato e i municipi delle periferie sono passati al Centro-destra, al contrario del centro delle stesse città. Perdendo il legame con la base popolare, la Sinistra è diventata ormai stabilmente quel partito radicale che era ancora di massa tanti anni fa, quando se ne scrisse su Cristianità (n. 225-226, 1994) mentre adesso è sempre più numericamente rappresentata dalle fasce abbienti e ancora ideologiche della popolazione. Una Sinistra in crisi alla ricerca di sbocchi per esempio nel femminismo o nell’ambientalismo, che però sono temi singoli, come spiega lo storico britannico di estrazione marxista Eric J. Hobsbawm (1917-2012) nel libro-intervista sul nuovo secolo, tradotto e pubblicato da Laterza nel 1999, e che quindi non permettono di ritornare a essere il movimento di massa che essa era prima del 1989.

La nuova situazione venutasi a creare deve interessare molto perché i problemi di cui la Sinistra si era impossessata rimangono anche se non c’è più la Sinistra a strumentalizzarli. Rimangono cioè tanti problemi di giustizia sociale, anche se a rappresentarli non c’è più, ed è bene che non ci sia più, la Sinistra con la sua carica ideologica e conflittuale. Peraltro questi problemi riguardano oggi le comunità piuttosto che i singoli. E questo è il segno di una società diventata individualista, che ha stritolato in nome del consumismo i diritti delle comunità intermedie, a cominciare dalla famiglia, che è il fondamento della società.

Oggi esistono quindi soggetti personali e soprattutto sociali da proteggere e da riabilitare, che hanno bisogno di essere messi finalmente al centro delle politiche sociali, senza ricadere nello statalismo assistenzialistico, ma cercando, nella misura del possibile, di fare crescere la società attraverso il principio di sussidiarietà. La questione antropologica, che certamente è diventata centrale dopo il Sessantotto con l’attacco all’uomo e alla sua identità più profonda, deve essere affrontata assieme alla questione sociale, che rimane. È una questione importante perché alle persone interessano più i problemi che incidono sulla propria vita economica e sociale, sia perché siamo cresciuti tutti in un contesto culturale materialista poco attento ai princìpi morali, sia perché, come suggerisce l’antico proverbio, primum vivere, deinde filosophari. Quindi, se vogliamo, come certamente vogliamo, aiutare a fare riflettere sul fatto che sia in corso una rivoluzione profonda mirante a scardinare l’uomo dal progetto originario di Dio, si deve trovare la strada per occuparsi anche delle povertà materiali e sociali dell’uomo.

I poveri esistono ancora e le contraddizioni sociali non scompaiono solo perché scompare la Sinistra. La dottrina sociale della Chiesa ha ancora molto da proporre.

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