LE STAGIONI FUORI DEL MARE (di Cosimo Galasso)

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Viaggio di San Paolo prigioniero verso Roma

Nell’area mediterranea si alternano due grandi stagioni climatiche, più o meno pronunciate, secondo la latitudine.

Vi è un semestre “caldo”, dominato dall’Anticiclone delle Azzorre e da quello Africano, il cosiddetto “gobbo di Algeri”, che si erge dai deserti nord-africani fino a coprire l’area mediterranea. Non bisogna dimenticare, infatti, che il gran deserto del Sahara -esteso quasi quanto l’intera Europa- confina per oltre duemila chilometri con le coste del mediterraneo. D’estate si gonfia come un pallone ed invade, quasi stabilmente, l’intero bacino; in zone come l’Italia meridionale, la Grecia, la Spagna meridionale, la siccità può arrivare a durare anche sei mesi: si ha una prevalenza assoluta di giorni e notti serene, con cieli carichi di stelle e grilli che cantano fino ad ottobre avanzato.

Poi, c’è il semestre “freddo”, dominato dall’Atlantico, i cui venti portano nuvole, pioggia e freddo moderato; talvolta, quando l’anticiclone delle Azzorre fa le bizze e se ne sta in pieno Atlantico, risalendo fino alla Scandinavia e saldandosi con l’Alta pressione Russo-Siberiana – dovuta al forte raffreddamento dell’area, causato dal sole assente e da un forte innevamento che respinge la poca luce presente-, forma un lunghissimo ponte, detto di Wejkoff, che va dalle Azzorre fino alle gelide steppe siberiane. La circolazione ciclonica che ne deriva -in senso orario- convoglia allora quell’aria gelida sul mediterraneo, generando delle nevicate memorabili, come quelle del 56, del 91 e del febbraio 2012, che ha visto imbiancare addirittura Tripoli, in Libia. Fortunatamente, come c’indicano le stesse date, questi episodi sono occasionali e, normalmente, sulle rive del “mare nostrum” gli inverni trascorrono tranquilli, senza troppi eccessi.

Tornando al semestre “freddo”, già gli antichi avevano scoperto che dalla seconda metà di ottobre conveniva, in ogni caso, interrompere la navigazione: il contatto dei venti freddi con il mare ancora caldo provocava, infatti, forti piogge e tempeste autunnali che consigliavano ai naviganti di rimanere in porto. Il mediterraneo, di fatto, era chiuso alla navigazione. 

Abbiamo in questo senso due significative testimonianze storiche, praticamente coeve, che vale la pena di riportare per intero.

La prima è di Plinio il Vecchio(23-79): ”Non dirigere più il tuo battello sul mare spumeggiante, tiralo in riva, colloca le tue difese, piega le vele, appendi il timone sul focolare, e attendi che ritorni la stagione per navigare”.

Forse, è ancora più interessante la seconda testimonianza, perché più dettagliata. E’ tratta dagli Atti degli Apostoli di San Luca; in pratica, San Paolo deve essere condotto a Roma -è prigioniero a causa della sua testimonianza per il Vangelo, che provoca tumulti con i Giudei-, perché vuole essere giudicato da “Cesare”, piuttosto che a Gerusalemme.

L’intero cap. 27 racconta il tormentato trasferimento, via mare, di Paolo e i suoi compagni di viaggio a Roma; in questa sede c’interessa, in particolare, il versetto 9. Dice San Luca: “Essendo passato molto tempo ed essendo ormai malsicura la navigazione, poiché era già trascorso anche il giorno del digiuno, Paolo li ammoniva dicendo… in pratica, come un autentico marinaio, Paolo sconsiglia al capitano della nave e al centurione che lo tiene in custodia, d’intraprendere la navigazione per non rischiare, oltre alle merci, anche la vita. Vediamo il perché. La festa giudaica dell’Espiazione -contemplante il digiuno- secondo le note dello storico romano di origine ebraica Giuseppe Flavio (37-100) cadeva il 10 del mese di Tishri, cioè a fine ottobre; la navigazione, a quel tempo, era considerata “malsicura” – come dice Luca – dalla metà di settembre ed era del tutto interrotta dall’undici novembre e fino al 10 marzo successivo: il cosiddetto “mare clausum”.

Consigliamo al lettore dell’intero cap. 27 e anche di parte del 28: sembra di scorrere un bollettino meteorologico ante litteram…

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