L’EUROPA CERCA LE PROPRIE RADICI (Corriere del Giorno, 10 maggio 2006, pag.6)

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9788804534136g.jpg Pensato e scritto a due mani, per i Saggi della Mondadori, è stato di recente pubblicato “Le radici perdute dell’Europa” (Mondadori,2006, Milano, pagg.180, euro 16,00).

Autori del libro sono Franco Cardini, che in verità ha bisogno di poche presentazioni, e Sergio Valzania, anche lui scrittore e giornalista, docente universitario e attuale direttore dei programmi radiofonici della RAI.

Il libro, con una postfazione dello storico Luciano Canfora, ripercorre due secoli della storia del nostro continente, alla ricerca non solo di un sogno perduto, ma di possibili risposte ad una domanda importante: poteva l’Europa unita nascere in altro modo, e cioè senza passare dall’esperienza degli Stati nazionali e dei nazionalismi e, quindi, delle ideologie totalitarie ? Senza le due ingombranti, tragiche guerre mondiali e quel che ne è seguito?

Tanto per prevenire l’ovvia obiezione di fondo – la storia non si fa con i “se” – gli Autori nella prima pagina, dedicata Alla memoria del Beato Carlo I d’Asburgo imperatore d’Austria (beatificato nell’ottobre del 2004 da Giovanni Paolo II), riportano una frase di Giuseppe Pontiggia: “E’ vero che la storia non si fa con i “se“. Ma forse è l’unica storia che possiamo fare”. Ciò significa, essi spiegano nella conclusiva Nota critica, che la storia non solo si possa, ma si debba scrivere al condizionale, con tutti i “se” e i “ma” del caso. Non già per proporre itinerari alternativi ad essa, ma per esplorare le infinite direzioni che ciascun evento storico apre: “Solo così il processo storico può essere colto nel suo significato più pieno, al di là di qualunque rigurgito di determinismo e di ideologismo, comunque camuffati“.

Tanto chiarito, veniamo ad esaminare, al di là dunque di ogni storico determinismo, quale sia stata la possibile strada che all’Europa del 1500 e del 1600 si apriva verso la meta di una più serena unione politica. Questo itinerario prese il nome di Monarchia. Con tale termine si intende quell’entità politica multiculturale e multietnica che per circa due secoli si costruì intorno alla famiglia degli Asburgo, nei suoi due rami di Castiglia e di Austria, e che copriva buona parte dell’Europa del tempo. O meglio furono gli Asburgo, e la cultura di derivazione cattolica che essi rappresentavano, a tenere uniti quei Popoli e quei Paesi. Basti pensare che Carlo V, fondatore della dinastia imperiale, non si diede una capitale perchè attribuiva la medesima importanza, nonostante il suo affetto per la natia Borgogna, a tutti i territori e a tutte le città di quell’ Impero dove il sole non tramontava mai, e che egli visitava instancabilmente.

Gli Autori così ribaltano una delle innumerevoli “leggende nere” che invece avvolgono di scura fama questa famiglia e questi secoli: nessuno, a Milano come in America, a Napoli come in Belgio, si sentiva suddito degli Spagnoli, ma integrato in una realtà sovranazionale e per certi versi cosmopolita.

Lo stesso concetto di Regno di Spagna nascerà soltanto nel 1713, con il trattato di Utrecht e quando la Monarchia oramai non esisteva più. E’ quindi verosimile, con buona pace dello stesso Manzoni, che ” Dipingere la penisola italiana del Seicento come una terra sottoposta al dominio di una “potenza straniera” è un non innocente anacronismo, frutto dell’uso risorgimentale e anticattolico della storia L’immagine di un’Italia soggetta allo straniero, e pertanto fremente magari sotto il suo tallone, non sembra corrispondere allo svolgimento dei fatti, alla temperie di quell’epoca, al lealismo diffuso che caratterizzava i ceti dirigenti e che trovava una sostanziale condivisione a livello popolare“. Dimostrazione di ciò è la totale integrazione di illustri italiani nel gruppo dirigente europeo targato Asburgo: il gran cancelliere Mercurino Arborio di Gattinara, Ferrante di Gonzaga ed Emanuele Filiberto di Savoia, comandanti in capo dell’esercito imperiale, Marcantonio Colonna, ammiraglio e diplomatico. E l’ elenco, lunghissimo, potrebbe continuare.

Ma riprova di ciò è anche ricordare che la rivolta popolare di Masianello, per esempio, fu soltanto una e comunque circoscritta, in una Napoli che essendo diventata la seconda metropoli d’Europa (e dunque del mondo) dopo Parigi, iniziava a dare nel 1647 i primi segni di decadenza. Il discorso fatto per l’Italia non è dissimile per gli altri Paesi della Monarchia, ad eccezione, affermano gli Autori del libro, dell’Olanda, prot estant e e culturalmente più lontana da questa Europa centro-sud-occidentale che aveva nell’Italia e nella penisola iberica i suoi punti di forza. Proprio le guerre contro l’Olanda protestante, e il mai sopito nazionalismo gallico, che giunse a stringere alleanze con i protestanti e soprattutto con tutti i Musulmani del Mediterraneo pur di annientare la Monarchia, finirono con lo sfinire la potenza ispanico-asburgica, avviandola ad una lenta decadenza.

Errori da una parte e dall’altra che in qualche modo si sarebbero potuti evitare: “Se il sogno della Respublica christiana era tramontato, il cattolicesimo avrebbe comunque potuto fare la sua parte nella creazione di un modello non aggressivo nè repressivo nè il più possibile centralizzato di stato moderno“. Vi fu dunque la prospettiva concreta di riunire almeno il Sud dell’Europa in una confederazione, della cui possibilità storica la Svizzera costituisce un esempio.

A fronte di una leyenda negra che dipinge Carlo V e i suoi diretti discendenti come l’espressione dell’oscurantismo e dell’oppressione politica, gli Autori ricordano che ogni regno, ogni ducato, ogni libera città disponeva di un parlamento, o di un’istituzione in qualche modo simile, con prerogative di tipo consultivo in materia giuridica e fiscale; ogni agglomerato di una qualche dimensione aveva un consiglio degli anziani; ogni corporazione un collegio più o meno elettivo.

Progetto confederale e rispetto delle autonomie locali: anche queste sono dunque le radici – perdute – dell’Europa.

Roberto Cavallo

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