L’INCHINO

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Da “Tempi” del 4 luglio 2022 leggiamo e pubblichiamo l’analisi diLeone Grotti:

“Che ragione c’è di cambiare il modello “Un paese, due sistemi” che ha funzionato così bene a Hong Kong nell’ultimo quarto di secolo e che ha portato la città a essere «una vera democrazia»? 

Ha parlato come si conviene a un dittatore, Xi Jinping, celebrando il 25esimo anniversario del ritorno dell’ex colonia alla madrepatria ed esaltando la legge sulla sicurezza nazionale che ha spento ogni velleità democratica dell’isola, azzerandone la società civile.

Da quando due anni fa è stata introdotta a forza (e illegalmente) nella mini Costituzione di Hong Kong, non è rimasto più niente di quell’«alto grado di autonomia» che doveva essere il fondamento del modello esaltato dal presidente cinese. Un rapido sguardo agli effetti della legge sulla sicurezza nazionale sulla vita della città può far capire che cosa intenda il segretario del Partito comunista quando parla di «democrazia».

Dal 31 giugno 2020 circa 200 persone sono state arrestate grazie alla nuova legge con l’accusa di essere una minaccia per la sicurezza nazionale: una media di un arresto ogni 3,7 giorni. Il mese più “proficuo” è stato gennaio 2021, quando la polizia ha messo in manette 57 persone. Tutti tranne due erano attivisti e politici del movimento pandemocratico colpevoli di aver organizzato le primarie per scegliere i candidati alle successive elezioni legislative. Di questi 55, 47 sono stati formalmente accusati e 34 di loro sono stati preventivamente carcerati in attesa del processo.

La violazione della legge sulla sicurezza nazionale prevede pene che vanno fino all’ergastolo. L’accusa è spesso pretestuosa: emblematico il caso di cinque psicoterapeuti che sono stati arrestati per aver scritto un libro per bambini nel quale si racconta la storia di una pecora che protegge il villaggio dai lupi. Secondo la polizia, la favola «incita all’odio contro il governo».

Tra le persone arrestate per violazione della legge sulla sicurezza nazionale, risultano: tre cantanti, 17 attivisti, 12 studenti, due docenti universitari, 44 politici, 5 avvocati, 7 sindacalisti, 18 tra giornalisti ed editori (tutti appartenenti a quotidiani e siti pro democrazia) e un alto prelato della Chiesa cattolica: il cardinale novantenne Joseph Zen.

Oltre 60 organizzazioni e associazioni civili – tra cui sindacati, giornali, partiti politici, fondi con obiettivi di promozione sociale – sono stati costretti a chiudere o messi direttamente al bando.

Interessante anche notare come l’uomo che gestì la repressione delle oceaniche proteste del 2019 a favore della democrazia, John Lee, è stato “eletto” nuovo governatore della città. La foto più emblematica della cerimonia di venerdì è sicuramente quella in cui il governatore, piccolo piccolo sotto la troneggiante bandiera della Cina, si inchina davanti a Xi Jinping.

In questi due anni, inoltre, il governo ha vietato ogni manifestazione a memoria delle vittime di Piazza Tienanmen (Messe comprese), ha chiuso un museo dedicato alla storia del massacro, ha oscurato il sito su cui era stato digitalizzato il museo, ha ritirato dalle librerie e dalle biblioteche i libri scritti da autori pro democrazia, ha modificato i libri di testo adottati dalle scuole per infarcirli di contenuti a favore del Partito comunista.

Ha poi cambiato la legge elettorale per rendere ininfluente il voto popolare, ha vietato a chiunque non giuri fedeltà al Partito comunista di candidarsi ed essere eletto, ha proibito di fare campagna elettorale invitando a votare scheda bianca, ha cancellato concerti di cantanti che in passato si erano espressi a favore della democrazia, ha definito un «crimine» guardare nelle abitazioni private film dai contenuti «pericolosi» (come i documentari sulle proteste del 2019).

Infine, ha ideato nuovi ridicoli divieti, come inviare in carcere tavolette di cioccolato o fermacapelli agli attivisti arrestati, e ha soprattutto trasformato in un reato l’espressione di qualsiasi opinione contraria ai diktat di Pechino in privato, sui social, sui giornali e con qualunque altro mezzo.

Questo è quello che Xi Jinping venerdì ha definito «democrazia» e «patriottismo», utilizzando lo strumento preferito di ogni regime: la menzogna. Come scriveva magistralmente Aleksandr Solzenicyn, «la violenza non ha altro dietro cui coprirsi se non la menzogna, e la menzogna non può reggersi se non con la violenza».”.

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