MARINA NEMAT, STORIA VERA DI UNA PROGIONIERA A TEHERAN (Corriere del Giorno, 5 ottobre 2007, pag.7)

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nemat.jpg Se un libro è bello quando corri a leggerlo (non appena hai 5 minuti a disposizione); se è bello quando lo “divori” e non vedi l’ora di arrivare alla fine (e poi però ti dispiace di averlo terminato); se tutto questo è vero, allora il recentissimo volume di Marina Nemat è sicuramente un bel libro!
Edito in Italia nel giugno 2007, “Prigioniera a Teheran” (Cairo Editore, Milano, pagg.317, euro 17,00) è molto più di una – drammatica – autobiografia. E’ lo spaccato di un regime, quello degli ayatollah, che ogni giorno fa parlare di sè. Che caparbiamente, a quasi 30 anni dalla rivoluzione che cacciò via lo Scià Reza Pahlavi, persegue le proprie ambizioni di potenza regionale fondamentalista all’interno del variegato mondo musulmano mediorientale.
Marina Nemat, appartenente ad una famiglia di origine russa, integrata nella piccola minoranza cristiana presente in Iran (Armeni, Assiri, Ortodossi, Latini), era appena un’adolescente quando Khomeini (1900-1989) lanciò la lotta al regime dello Scià. F in da sub ito la sua vita normale di ragazzina che ama i libri, i fiori, il mare, viene sconvolta. Il primo fidanzatino, un convinto khomeinista, viene ucciso per strada mentre manifesta a favore della Rivoluzione islamica. Il colpo è duro, ma la situazione precipita quando gli ayatollah conquistano il potere assoluto, anche a discapito di altre formazioni politiche che pure si erano battute contro i Pahlavi.
Cambia così il modo di studiare, con l’indottrinamento ideologico islamico; cambia il modo di vestire, con i Guardiani della Rivoluzione e gli Hezbollah che anche per strada picchiano le donne che lasciano trasparire un’ombra di rossetto o un ciuffo di capelli dal nero chador; cambiano i sentimenti e l’amore fra i ragazzi, che non possono più incontrarsi e tenersi per mano, nè ascoltare musica o seguire programmi occidentali 1330.jpg Un clima di violenza e di sospetto si instaura fra la gente, e i giovani – molti dei quali andranno a morire nella guerra contro l’Iraq – fanno più fatica degli altri ad adeguarsi
E’ a questo punto, siamo ai primi anni ’80, che iniziano a serpeggiare le sussurrate critiche al regime, poi le proteste e gli scioperi degli studenti Marina, che non accetta il tetro moralismo rivoluzionario, a scuola vorrebbe studiare letteratura, matematica e scienze, come ha sempre fatto, e compie l’imperdonabile errore di dichiararsi stufa del continuo indottrinamento coranico. Le sue amiche musulmane la seguono nella protesta. E’ l’inizio della tragedia: anche se ha appena 16 anni viene segnata nel registro dei proscritti e dei nemici della Rivoluzione. Nonostante per prudenza Marina abbia lasciato la scuola, i Guardiani della Rivoluzione un giorno suonano a casa sua e la portano via: ad Evin, lo spettrale carcere di Teheran per i detenuti politici. E’ picchiata e torturata. Rischia lo stupro e la fucilazione. Evita la condanna a morte solo perchè uno dei torturatori se ne innamora e pretende di farla diventare sua sposa. Marina è costretta ad abiurare il cristianesimo, a professare l’Islam, a subire le “voglie” del neo-marito. E’ il prezzo da pagare in cambio non solo della sua incolumità, ma soprattutto di quella dei suoi cari. Intanto in carcere conosce il mondo di disperazione di tante ragazze come lei, alcune del tutto estranee ai rivolgimenti politici, altre attivamente impegnate nel movimento di opposizione dei Mujaheddin: interrogatori a base di tortura, condanne a morte, stupri precedenti all’esecuzione, anche perchè ” le vergini non vanno in paradiso “.
Qualcuna, come Marina, è costretta a diventare concubina dei propri carcerieri. Eppure per Marina la salvezza arriva inaspettata. L’uomo che l’ha desiderata è sinceramente innamorato di lei, e per difenderla giunge ad impetrare la grazia presso lo stesso Khomeini, il supremo Imam. Marina è salva, anche se successivamente il marito-carceriere arriverà a pagare con la vita il suo atto d’amore
L’autobiografia di Marina – una storia vera, come riporta il sottotitolo del libro – termina in Canada, dove la ragazza nell’agosto del 1991 insieme alla nuova famiglia riesce a trovare asilo come rifugiata. I ricordi e la conoscenza di vicende analoghe alle sue – ma con esiti ben più tragici – la spingono, con dolore, a mettere per iscritto le proprie memorie, perchè il mondo sappia che cosa accade, tutti i giorni, nel carcere di Evin.
La sua forza d’animo e la vissuta fede cristiana, intimamente mai rinnegata, hanno consentito a Marina Nemat di sopravvivere anche quando Dio, lassù nei cieli di Teheran, sembrava non ascoltare
Roberto Cavallo

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