MEDIORIENTE SENZA PACE (L’Ora del Salento, 5 aprile 2008, pag.11)

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OSSERVATORIO GEO-POLITICO

 

Accanto alle violenze in Tibet, con il suo strascico di arresti arbitrari e di assassini politici, l’ Iraq continua ad essere il protagonista della cronaca internazionale. Ancora una volta si è consumata una spaccatura all’interno del campo sciita, con le milizie filo-iraniane di Moqtada al-Sadr che hanno affrontato a viso aperto nel sud del Paese le forze governative del premier Nouri Al Maliki. Forse nelle intenzioni doveva essere una resa dei conti favorevole al governo e agli sciiti moderati, ma i violenti combattimenti di fine marzo a Bassora e nelle altre città hanno causato 300 morti e centinaia di feriti. Anche Al Maliki ha capito che è meglio trattare, e che il controllo reale ed efficace sull’intera Nazione, nonostante i progressi compiuti, è obiettivo ancora lontano da raggiungere. D’altronde la spaccatura irachena si aggiunge ad altre divisioni presenti all’ interno del mondo arabo, come quella tutta palestinese fra Hamas e Al-Fatah. Soprattutto sono espressioni locali, queste ultime, della più vasta spaccatura che oggi coinvolge l’intero Medioriente: da una parte l’aggressivo asse Teheran-Damasco, dall’altra l’Arabia Saudita e il gruppo di Paesi – specie quelli del Golfo – più moderati.

Prova di ciò è il recente fallimento del vertice della Lega Araba tenutosi a Damasco lo scorso 29 marzo: dei 22 Capi di Stato che ne fanno parte, solo 10 erano presenti. Come se non bastasse, il portavoce dell’Arabia Saudita ha accusato apertamente gli ospitanti siriani di lavorare, insieme all’Iran, per boicottare soluzioni di pace in Iraq, nei Territori e in Libano (dove dallo scorso novembre non si riesce ad eleggere il Presidente della Repubblica, che secondo il dettato costituzionale dovrebbe essere un rappresentante della comunità cristiana). Non a caso una vecchia volpe come il Colonnello Gheddafi ha avvertito la necessità di richiamare tutti all’unità nell’Islam …

Nel vortice della guerra totale, le piccole comunità cristiane della Terra Santa, del Libano e dell’Iraq, continuano inesorabilmente ad assottigliarsi, spinte dalla paura all’emigrazione. Dopo l’assassinio dell’Arcivescovo caldeo di Mosul, Mons. Paulus Faraj Rahho, trovato morto il 13 marzo dopo 14 giorni di prigionia, un altro vescovo iracheno, Mons. Louis Sako, denuncia all’Agenzia Sir che a Mosul “… I mujahhidin hanno inviato una lettera alle famiglie cristiane chiedendo una tassa di protezione di 10.000 dollari pena la distruzione dell’abitazione o la morte di un familiare …” (Avvenire, venerdì 28 marzo 2008, pag.14: Scontro in atto per il petrolio). Chi non si sottomette rischia la vita…

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