MI PIACE (di David Taglieri)

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Silvana De Mari su La Verità del 31 agosto, all’interno della rubrica  “Il dizionario”, analizza il momento attuale caratterizzato dal trionfo della tecnologia, dove le persone si stanno lentamente trasformando in macchine. 

La dottoressa De Mari afferma con forza che la nuova religione civile, facile, senza sacrifici, di facciata ma con dei risultati di ritorno frustranti e tristi, è quella del ‘mi piace’, del like, di quello che in un italiano sicuro e corretto verrebbe tradotto “gradimento” se non “consenso”. 

Aggiungiamo che il concetto del “mi piace” è molto labile sia nello spazio che nel tempo: tutto viene vissuto nella sensazione e nella costante voglia di apparire. Un’altra riflessione che ci permettiamo di fare sulla scorta dello scritto della De Mari: a volte bisognerebbe domandarsi se – per esempio – ad una persona prema più fare gli auguri ad un amico o mettersi in evidenza sulla bacheca altrui. 

Meccanismi inconsci che fanno cadere nel tranello tutti, perché come viene ben evidenziato all’interno dell’articolo l’ansietà si sostanzia nel piacere agli altri, per piacere a se stessi, aumentate la propria autostima e in qualche modo affermarsi, almeno sulla piazza internettiana. 

Ci viene in mente un esperimento sociale: quante volte ci capita di scrivere un messaggio privato non visibile a tutti e non ricevere alcuna risposta? Quante volte invece lo stesso messaggio in bacheca riceve attenzioni, cuori, sorrisi e icone da parte della persona destinataria?

Scientificamente un mi piace genera dopamina, un benessere al quale non si può più rinunciare e che presto diviene una specie di tossicodipendenza. 

Ancora: un termine nobile come amicizia viene associato al verbo scambiare; ma non si tratta affatto di un baratto… Però la logica delle multinazionali è quella di annichilire i valori, sradicare, proiettarci in un villaggio globale dietro uno schermo di scherno, dimenticando che proveniamo da un villaggio locale reale, fatto di respiri, abbracci, contatti fisici. Dove il vecchio era il saggio e raccontava aneddoti attorniato dal rispetto dei più giovani e non era confinato nelle mura domestiche delle periferie globali. 

Oggi una influencer qualunque, senza titoli, meriti e cultura, e con un briciolo di furbizia si improvvisa regina degli Uffizi, ignorando ovviamente il luogo nel quale si trova. E sembra lanciare il messaggio che basta inventarsi una grullata per fare soldi ed essere eletta ad eroina totale, al limite anche nel campo culturale. Perché il liberismo crea falsi miti, la credenza che il mercato abbia sempre ragione. 

A forza di ricontrollare gli autoscatti perdiamo il confine dei limiti, la passione della meraviglia, la relazione con il Reale: rischiamo di contare i like leggendo contemporaneamente commenti banali e demenziali, perdendoci il tramonto più bello che è proprio di fronte a noi, e cosi bello non tornerà più. Perché è unico, come unica è ogni persona, i cui gusti, le cui preferenze, la cui esistenza non può essere schematizzata da quattro algoritmi del cappero. 

Avere di fronte tutti gli elementi di una figurina in rubrica, che probabilmente non vedremo mai più fisicamente, non equivale a conoscerla, anche se inconsciamente ci sembra di controllare la totalità. 

La giornalista de La Verità chiarisce che la religione civile internettiana cela un vuoto di spiritualità: piacendo agli altri, piaciamo di più a noi stessi, aumentiamo la nostra autostima, effimera, perché per la verità non sapremo mai cosa si nasconde dietro quelle faccette, piene di sorrisi, cuori, e mani, ma privi di emozioni, sentimenti, impressioni. 

Il vero metro di giudizio lo riceviamo dall’Assoluto, e da noi stessi, nel momento in cui ci saremo liberati dai condizionamenti esterni. 

Sulla scorta della lezione della De Mari potremmo fare davvero un esperimento personale: soffermarci, ragionare con lentezza, chiudere gli occhi, chiudere il cosiddetto telefono intelligente, e respirare, respirare, tentando di riconnetterci con qualcosa di più importante. 

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