MORIRE DA DONNA IN CECENIA…(Corriere del Giorno, 15 giugno 2006, Pag.6)

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adler.jpg Da un po’ di tempo il silenzio sembra essere sceso sulla Cecenia e sulla guerra fratricida che la sconvolge da anni. Eppure, come di recente ha segnalato Amnesty International n el suo rapporto p eriodico, lo stato di guerra e le violenze perdurano nella piccola repubblica, che si estende fra le montagne del Caucaso.

E’ quindi particolarmente interessante in tale prospettiva ogni contributo utile a far luce sulla realtà cecena, per far conoscere al mondo il dramma che quel popolo ancora oggi si trova a vivere.

In questa ottica si pone il recente contributo di Sabine Adler, da sette anni corrispondente in Russia per la Radio tedesca, che ha vissuto a lungo in Cecenia, soggiornando nei villaggi distrutti dalla guerra, ospitata da famiglie del luogo, di cui ha imparato a conoscere cultura e tradizioni.

Forte di tale esperienza, la giornalista ha riversato le sue conoscenze in un romanzo, che conserva però tutte le connotazioni del saggio storico.

Il risultato è per certi versi una testimonianza sconvolgente, che mette in mostra il vero volto del terribile conflitto ceceno, e in particolar modo la condizione delle donne. Non a caso il libro, pubblicato quest’anno dalle Edizioni Piemme (euro 16.50, pagg.380) ha il titolo emblematico: “Dovevo morire da vedova nera“.

Protagoniste un gruppo di giovani donne cecene, intrappolate loro malgrado, come tante altre connazionali, tra la nuova xenofobia russa, erede di una mai sopita ideologia social-comunista, e il nuovo fondamentalismo musulmano, importato in Cecenia fin dagli anni ’90 nelle forme rigorose del wahabismo di origine sau dita.

Dunque da una parte le violenze delle forze speciali russe (stupri e rappresaglie) contro i civili sospettati di sostenere la guerriglia separatista, e dall’altra il nuovo fanatismo wahabita dei musulmani ceceni, che nel recente passato non hanno esitato a reclutare schiere di kamikaze.

Ma la peculiarità cecena, rispetto al restante scenario del terrorismo islamico internazionale, è dato dal fatto che una rilevante percentuale di tali kamikaze sono donne. Donne giovani e donne meno giovani, attratte dai guerriglieri per i motivi più disparati: c’è chi se ne innamora perdutamente; chi, ormai sola, si sente accolta e coccolata in una comunità di persone premurose; chi vi è spinta da padri e/o fratelli; chi, ancora, vi è costretta da forme più o meno subdole di violenza, che non disdegna l’uso degli psicofarmaci

Chi entra nel “commando delle vedove nere” deve seguire un’accurata quanto scrupolosa opera di addestramento fisico e di indottrinamento psicologico, accompagnati dall’ascolto di sermoni religiosi e di struggenti canzoni patriottiche.

L’itinerario finale conduce a farsi esplodere contro obiettivi russi o filo-russi: programmate e plagiate per saltare in aria con speciali cinture – che le donne costruiscono con le loro stesse mani – imbottite di tritolo.

Queste le missioni impossibili, come quelle famose al teatro Dubrovka di Mosca o della scuola di Beslan.

Sabine Adler racconta fin nei particolari più agghiaccianti l’assalto del 23 ottobre 2002 al teatro moscovita, dove al seguito di Movsar Barayev, uno dei capi del separatismo ceceno, diciotto vedove nere per oltre due giorni seminarono il terrore fra i quasi mille spettatori presi in ostaggio, prima di finire tutte uccise dall’intervento delle forze speciali russe.

Ma non tutte le “vedove nere” compiono sino in fondo questo tragico destino: qualcuna riesce a sottrarsi, per tempo, a quel “martirio” che, come viene loro insegnato, è in grado di aprirle direttamente le porte del paradiso islamico

La giovanissima protagonista del romanzo, Raissa, riesce a salvarsi dal cappio di morte che inesorabilmente le si stringe intorno; non senza però dover cedere ai Russi, di cui accetta una protezione che per quelli della sua gente suona come un tradimento.

La tradizionale fierezza dei popoli caucasici, già deportati e quasi annientati ai tempi dei sovietici con l’infamante accusa di collaborazionismo con il nemico nazista, ha sinora affrontato la nuova politica di potenza espressa dal Presidente Vladimir Putin vestendosi delle armi inedite del terrorismo islamico.

Nei villaggi sventrati dalle bombe, dove i ragazzi non vanno più a scuola e ogni famiglia piange la morte di un padre, di un fratello, di una vedova nera, il fondamentalismo ha sfruttato il rancore e l’ignoranza per deviare gli usi di una società tradizionale verso il delirio del Jihad

Roberto Cavallo

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