MULTICULTURALISMO: I FRUTTI AVVELENATI (Corriere del Giorno, 1° settembre 2010, pag. 26)

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Magdi Allam: gli islamisti radicali cercano a tutti i costi di trascinarlo in tribunale
Magdi Allam: gli islamisti radicali cercano a tutti i costi di trascinarlo in tribunale

Mentre in Iran Sakineh Ashtiani è in bilico fra la vita e la morte per lapidazione e il colonnello Gheddafi in visita in Italia invita le ragazze a convertirsi all’Islam, non si ferma la spirale di giovani donne musulmane immigrate oggetto di violenza. L’ultima in ordine di tempo è una ragazza marocchina – Hasna Beniliah – sfigurata con l’acido sul viso per aver osato respingere le avances di un connazionale che non accettava il suo stile di vita occidentale. A partire dagli anni ’90 in Europa, ma soprattutto in Francia, si è diffuso quello che comunemente viene chiamato “Islam di cantina”, con riferimento a gruppi e associazioni di integralisti che hanno lavorato e lavorano nell’oscurità per promuovere il pensiero fondamentalista.

 

Predicatori provenienti dal Pakistan o dal Medio Oriente svolgono una capillare opera di lavaggio del cervello verso i giovani delle periferie disagiate. Così mentre per gli immigrati delle prime generazioni era normale che una ragazza musulmana potesse andare a scuola e uscire ogni tanto la sera, oggi i contatti con i bianchi sono spesso proibiti, nel senso che alle ragazze islamiche è preclusa la frequentazione dei non musulmani; tanto meno il matrimonio.

Anche in Italia, come racconta l’On.le Souad Sbai nel suo recente libro “L’inganno. Vittime del multiculturalismo” (Cantagalli, Siena, 2010), la situazione della donna musulmana è investita da fortissime difficoltà.

Come noto Souad Sbai è marocchina e portavoce dell’Associazione della Comunità marocchina delle donne in Italia. Molti dei diritti umani – ella scrive – vengono loro negati, soprattutto perché questi drammi si consumano in quartieri ghetto, dove le comunità islamiche si auto-isolano, per rendersi impermeabili al diritto vigente e ai principi liberali sui quali si fonda la civiltà occidentale.  Il “politicamente corretto”, spesso lontano dalla vita reale dei migranti, da un lato proclama a gran voce la difesa dei diritti umani ma dall’altro rinuncia a sottoporre a giudizio i contesti dell’Islam ra dicale, in nome di un falso e pericoloso ideale di convivenza pacifica. Così molte sopraffazioni sulle donne musulmane immigrate, pur talora denunciate a costo di gravi pericoli, restano impunite o quasi, perché un malinteso senso del multiculturalismo impone ai giudici italiani, ed europei in generale, di giustificare quegli atti violenti in quanto facenti parte del contesto culturale di provenienza. Insomma per non rischiare di offendere la comunità si lasciano spesso impuniti i reati di violenza che all’interno di quella comunità si consumano. Si va così sviluppando, nota Souad Sbai, un doppio diritto, quello del paese europeo di accoglienza e quello impostato sulla sharia, che tutela la poligamia e priva le donne immigrate di una sostanziale protezione giuridica. 

Il paradosso è che in Italia e in Occidente le donne musulmane spesso sono costrette ad inserirsi in comunità chiuse, ancora più sensibili alla predicazione fondamentalista di quanto non lo fossero in patria. 

Un altro dramma, frutto della resa occidentale al nuovo dogma del multiculturalismo, è la presunta islamofobia. La censura islamica, infatti, non esplica i suoi effetti solo all’interno dei Paesi islamici, ma con sempre maggior vigore sta arrivando anche in Occidente.

E’ il preoccupato allarme lanciato da Valentina Colombo nel suo recente libro “Vietato in nome di Allah” (Lindau, Torino, 2010).

Valentina Colombo, docente di geopolitica del mondo islamico presso l’Università europea di Roma e Senior Fellow presso la European Foundation for Democracy (Bruxelles), è traduttrice in italiano di svariati autori arabi.

Nel corso del suo lavoro si è quindi imbattuta nelle problematiche di censura che hanno travagliato la vita di molti scrittori e giornalisti arabi, rei di violare, in qualche modo, l’ortodossia musulmana.

Tali problematiche sussistono un po’ ovunque all’interno del mondo islamico: non solo nei paesi considerati più fondamentalisti, come Iran, Sudan o Arabia Saudita, ma pure in quelli che l’Occidente è solito dipingere come moderati: Giordania, Egitto, Turchia.

A proposito della Turchia, per esempio, Valentina Colombo ricorda come l’assassinio del giornalista turco di origine armena Hrant Dink sia avvenuto all’indomani della sua condanna – nel 2005 – a sei mesi di reclusione per alcuni articoli riguardanti il genocidio armeno, che ancora oggi il governo turco disconosce.

Nello stesso 2005 è stato messo sotto processo il nobel per la letteratura Orhan Pamuk, perché in un’intervista rilasciata alla rivista svizzera Das Magazin pronunciò la seguente frase: “Abbiamo ucciso trentamila curdi e un milione di armeni e nessuno in Turchia osa parlarne. Io lo faccio. Per questo mi odiano”.  Pamuk è stato incriminato per offesa alla dignità nazionale. Ma vi sono anche altri illustri letterati finiti sotto processo (e minacciati dagli estremisti islamici) per aver espresso opinioni non conformi all’ortodossia o comunque non graditi all’establishment musulmano: vi è la scrittrice  Elif Shafak, autrice del famoso romanzo “La bastarda di Istanbul”, o il professore Nedim Gursel, docente di letteratura turca alla Sorbona di Parigi.

L’ondata censoria, dicevamo, sta contaminando anche l’Occidente e ciò attraverso alcune stabili strutture che si è data l’OCI, l’Organizzazione della Conferenza Islamica.

L’OCI, fondata nel 1970 a Gedda in Arabia Saudita, riunisce in sé la potenza religiosa, militare ed economica di 56 Stati a maggioranza is lamica.

Tra i suoi principali organismi vi è l’Osservatorio sull’Islamofobia, che si occupa stabilmente di monitorare le presunte offese all’Islam e al Prof eta. Così a fianco delle tradizionali fatwa equivalenti spesso a condanne a morte (come quella famosa nei confronti dello scrittore Salman Rushdie), si sta sviluppando il cosiddetto Jihad dei tribunali, azione organizzata che mira a trascinare in tribunale coloro che offendono l’Islam.

Magdi Allam, per esempio, a causa della sua attività di giornalista e scrittore è investito da una innumerevole serie di denunce per diffamazione. Così accade per altri liberi pensatori tanto musulmani che non musulmani. L’obiettivo, secondo Valentina Colombo (moglie di Magdi Allam e anch’ella peraltro denunciata per islamofobia da potenti e organizzatissimi studi legali vicini alle organizzazioni islamiche radicali), non è tanto vincere sempre le cause giudiziarie intentate, ma creare comunque pressione psicologica e paura, al fine di mortificare la libertà di espressione e di far desistere tutti quegli opinionisti che sollevano dubbi sui tratti più inquietanti del pensiero e della prassi islamica. 

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