NON MI RIMANEVA CHE PREGARE E PIANGERE

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gerber_rimaneva-pregare-piangere_paoline_06h163 Teena non voleva vivere con quell’uomo: la giovane cristiana era stata rapita, costretta a convertirsi all’Islam e fatta sposare con ogni sorta di minacce. Se non avesse obbedito, non soltanto sarebbe morta, ma avrebbe messo a repentaglio la vita del padre e dei fratelli. Oppure avrebbero accusato suo padre di “blasfemia”.

Con una simile imputazione – la blasfemia – oggi in Pakistan si perde ogni sicurezza e talvolta anche la vita. E se l’accusa è palesemente falsa, non importa. Le forze brutali emergenti nel Paese non si fanno scrupoli di ricorrervi per mettere con le spalle al muro i membri delle minoranze.

Quella di Teena è soltanto una fra le mille storie che si ripetono in Pakistan.  Ne offre uno spaccato esauriente e toccante il libro di Daniel Gerber: “Non mi rimaneva che pregare e piangere. Donne cristiane in Pakistan” (Edizioni Paoline, 2013, pagg. 205).

Gerber, che vive e lavora in Svizzera, è giornalista e scrittore, e per varie testate si è recato nei Paesi a maggioranza musulmana per raccontare e testimoniare le difficoltà dei Cristiani, delle donne e delle altre minoranze. In questo suo libro racconta, in particolare, delle giovani cristiane – per lo più minorenni – che in Pakistan vengono rapite e costrette per mezzo di minacce di morte a convertirsi all’Islam. Segue poi il matrimonio forzato con un musulmano. Sono semplici ragazzine, con poca esperienza e spesso minore istruzione, in balia di complotti che mirano a trasformarle in rassegnate mogli musulmane. E guai a ribellarsi… Invano le famiglie di provenienza, duramente provate, cercano di individuare i rapitori e di riavere le figlie. Le sofferenze di queste giovani e dei loro genitori sono quasi inimmaginabili. E nessuno le aiuta: né lo Stato né gli imam locali, che anzi con le loro prediche del venerdì infiammano gli animi contro i Cristiani, provocando spesso l’incendio delle loro case. Vendute e recluse, a tali ragazze non resta che subire tutte le umiliazioni e obbedire.

Ma ci sono alcuni coraggiosi cristiani pachistani che, nella loro veste ufficiale di avvocati (studio legale CLAAS), si battono per queste donne tormentate, anche a rischio della loro stessa vita. Questo è avvenuto per Teena, Maria, Rebecca… e avviene per Asia Bibi che ne rappresenta tante altre. Daniel Gerber è stato in Pakistan a conoscere le donne liberate grazie ai volontari dello studio legale CLAAS. Questo è il loro libro, ma è pure il libro che denuncia l’escalation di rigidità e di perversione della legge sulla blasfemia, che nel testo originario del codice penale indiano del 1860 non prevedeva la pena di morte né tutelava un’unica religione. Ma dopo l’indipendenza del Pakistan dall’India e con l’avvento di governi sempre più sensibili ai richiami islamisti, il testo si è evoluto in senso drammatico per i non  Musulmani: dal 1990 si sono  tenuti più di mille processi per blasfemia. Asia Bibi, come noto, rischia la pena capitale.

Il modo abituale di procedere, quando l’accusa è rivolta a cristiani, è quello di affermare attraverso gli altoparlanti della moschea che tizio o caio hanno vilipeso Maometto o il Corano. Quindi si raduna una folla furiosa che inizia l’attacco alle case o alle chiese dei cristiani. Nel corso di tale violenze, mentre la polizia temporeggia o comunque non fa materialmente in tempo ad intervenire, i Cristiani bruciano nelle loro case o vengono percossi e torturati: “Così è stato a Gojra, dove otto cristiani sono stati arsi vivi da una folla scatenata e alcune case di cristiani sono state bruciate con il fuoco …” (pag. 151). Altri casi simili, dopo la pubblicazione del libro di Daniel Gerber, continuano a registrarsi in Pakistan.

“Non mi rimaneva che pregare e piangere. Donne cristiane in Pakistan” non è soltanto un libro da leggere, ma da pubblicizzare quanto più possibile. E’ il minimo che tutti noi possiamo fare per le ragazze cristiane rapite e segregate del Pakistan.

 

 

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