OGNI DIRITTO IN PIU’ E’ UNA LIBERTA’ IN MENO (recensione a cura di David Taglieri)

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Continuiamo con l’analisi dei libri controcorrente che il Giornale propone in edicola ogni giovedì.

Carlo Lottieri è uno studioso del liberalismo politico e del liberismo economico, insegnante di Filosofia Politica e Filosofia del diritto all’Università di Siena.

Collabora con il Giornale e scrive soprattutto sulla pagina economica e su quella culturale; è fra i fondatori dell’Istituto Bruno Leoni.

Ha scritto “Ogni diritto in più è una libertà in meno” (pagg. 49, Edizioni Fuori dal carlo_lottieriCoro, il Giornale), e qui finalmente veniamo a contatto con la presentazione di un pensiero liberale senza la retorica di accompagnamento iper-liberale, secondo cui l’unica religione sarebbe appunto quella liberale.

A destra come a sinistra oggi si professano tutti liberali, senza però mai essere in grado di definire con consapevolezza ed onestà intellettuale cosa siano liberalismo politico e liberismo economico, e quali siano le infinite trame dei rapporti che si instaurano fra di essi.

Questo pamphlet si occupa del mondo dei diritti a tutto tondo: quelli reali, quelli artefatti, e quelli inventati; viene ben messa in evidenza la tendenza attuale a costruire un pianeta dove il desiderio diviene magicamente un diritto, e non va mai di pari passo con la condivisione di contestuali doveri.

Paradossalmente il liberalismo dovrebbe promuovere sempre nuovi e rinnovati diritti, ma Lottieri mette ben in evidenza come il liberalismo eccessivo e a tutti i costi possa divenire la premessa ed il fondamento per politiche aggressive ed illiberali.

Alla stessa maniera viene messa in evidenza l’errata eredità culturale delle politiche iper-stataliste tanto dannose per il Paese.

La storia europea è stata permeata dall’idea che gli uomini abbiano dei diritti e che quei diritti vadano preservati, difesi, coltivati.

Allo stesso modo si è registrato come la cultura occidentale liberaldemocratica abbia promosso a livello formale certi diritti senza mai riuscire a proteggerli al cento per cento sul piano sostanziale.

È un viaggio fra le teorie, le tesi e le componenti liberali che si sono dovute adattare, scontrare, confrontare con il piano della realtà, vivendo intensamente l’antinomia fra Stato e liberalismo.

Nel libro si analizza anche il luogo in cui ogni individuo dovrebbe formarsi: la scuola. Un individuo ben formato dovrebbe essere in grado di scegliere, ed invece il problema è che la scuola è divenuta un contesto spazio-temporale di imposizione di standard, cliché e talvolta… luogo-comunismi. Al di là di quello sul quale si pontifica, infatti, vi è nella scuola uniformità culturale e non pluralismo educativo. L’educazione di Stato generalizzata punta all’indottrinamento, condanna lo Stato confessionale e le scuole private, ma promuove la religione di Stato, l’unica considerata possibile.

Lo Stato da sociale  – ma in questo anche da punti di vista differenti ci sono ipotesi affascinanti di dialogo ed analisi – si è trasformato in terapeutico e salutista, volendo proteggere l’uomo da se stesso, decidendo per l’uomo anche in ottica interiore e di benessere. E da qui la moltiplicazione di diritti connessi ad interessi che esulano dalle esigenze prioritarie, sociali ed economiche per trasformarsi in domestici e privati.

Ne va della centralità della persona, ne va della libertà di decisione, ne va della libertà di scegliere l’educazione e gli interessi stessi. Non solo i media, ma lo Stato stesso oramai si occupa di benessere e di salute in maniera maniacale, travalicando quello che è il suo compito.

Quando i diritti si disperdono in mille rivoli, si perde il senso stesso del diritto. Abbiamo tante cose e possibilità: cibo, cultura educazione, cure, ma non è giusto che il tutto sia elargito dalla macchina statale.

Serve una diversa antropologia che faccia proprio il senso del limite, anche in chiave liberale. Una buona medicina a tanti interrogativi è la lettura di questo saggio.

 

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