PAPA FRANCESCO: ANDARE DOVE LA FEDE E’ PERDUTA (di Marco Invernizzi)

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L’inizio del pontificato di Papa Bergoglio è stato felicemente descritto dal direttore della rinnovata Civilità Cattolica, Antonio Spadaro (n. 3907, 6 aprile 2013). Un gesuita che commenta la prima volta di un gesuita a capo della Chiesa. Ovvio che il sottofondo del ragionamento sia la spiritualità della Compagnia e in particolare gli esercizi spirituali che sant’Ignazio ricevette nella grotta di Manresa dalla Madonna e che hanno nutrito ininterrottamente dal XVI secolo le successive generazioni di cristiani.

Emerge così, attraverso la “lettura teologica” dei primi giorni di pontificato proposta dal direttore della Civilità Cattolica, un Pontefice anzitutto missionario, volto cioè a mettere tutto e tutti, nella Chiesa, al servizio della missione di riportare alla fede coloro che l’hanno perduta o rifiutata oppure non l’hanno mai incontrata. Il Papa si propone così di andare a incontrare gli uomini e le donne dove vivono, nelle famose “periferie” che non sono soltanto le zone disagiate delle grandi città, ma tutti i luoghi dove vivono persone che soffrono o che magari hanno molti benefici materiali ma, non avendo la fede, non possono sentirsi felici.

Sono questi i poveri a cui il Papa fa spesso riferimento, certamente i poveri che non hanno da mangiare ma anche i poveri che non hanno la fede e che di conseguenza non hanno un vero motivo per vivere.

Il tentativo di presentarlo come un pauperista sostenitore della Teologia della liberazione non ha fondamento. Così come quello di presentarlo come un qualsiasi ambientalista. Egli ha sì invitato a “custodire” il creato ma nel senso, rilevato anche in questo caso da padre Spadaro, che attribuisce a questo concetto l’ultima contemplazione degli esercizi ignaziani, quella per “contemplare l’amore”, avendo cura di ogni cosa creata così come è proprio dell’amore e dell’azione di Dio.

Padre Spadaro insiste nel mostrare la grande capacità di comunicazione di Papa Francesco: le sue semplici parole, “buona sera” e “buon pranzo” prima dell’Angelus o del Regina coeli, non sono casuali, così come la scelta di non abitare l’appartamento pontificio ma di rimanere in mezzo ad altri a Santa Marta. Essi riflettono il tentativo di parlare direttamente al cuore di tutti, senza formalità intermedie, un tentativo che riuscì molto bene ad alcuni suoi predecessori, in particolare ai beati Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II.

Sbagliano pertanto gli intellettuali che lo vogliono piegare a una loro prospettiva ideologica, impostata su un’idea di rottura e discontinuità con i predecessori. Sbaglia chi lo vede come un Papa che si prepara a una radicale rivoluzione semplicemente perché si è contornato di alcuni vescovi che lo consiglieranno aiutandolo a governare meglio e sbaglia chi lo ritiene un monarca assoluto e non invece il capo del Collegio dei Dodici, che non sono funzionari del sovrano ma successori degli Apostoli.

La verità è che sono i fedeli a doversi adattare al Magistero pontificio e non viceversa. Un Magistero che ha il compito di confermare la fede di sempre, ma anche di intraprendere strade nuove e stili diversi per portare questa stessa fede a tutti gli uomini del mondo. Non dovrebbe essere così difficile da comprendere e praticare eppure leggiamo e ascoltiamo intellettuali di diverse opinioni lanciarsi in interpretazioni ideologiche del pontificato che confondono i fedeli e avvelenano gli spiriti.

Le tante conversioni

Da parte nostra, assistiamo con gioia e ringraziamo il Signore delle tante conversioni che si sono manifestate in queste settimane da parte di persone che hanno sentito parlare Papa Francesco. Ci sono le indagini sociologiche, come quella del nostro Massimo Introvigne, che ha portato dei dati su cui riflettere, forniti da sacerdoti intervistati che hanno confermato l’aumento delle confessioni prima di Pasqua rispetto allo scorso anno. Ma è un clima generale che io stesso ho potuto notare, molto concretamente, nella mia parrocchia e tramite i sacerdoti che confessano. Durerà? Speriamo. In ogni caso siamo di fronte a un piccolo fatto significativo che sarebbe imprudente disprezzare.

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