(a cura di Roberto Cavallo)
In questo mese di giugno l’Iran ha perso l’occasione di invertire la marcia verso l’isolamento internazionale in cui si sta lentamente inviluppando, e anche l’opportunità di avviare una seria politica energetica e di sviluppo economico. Che porterebbe benessere ad un’economia oggi in difficoltà, che stenta a decollare e che fa sentire i pesanti contraccolpi della crisi fra le fasce più emarginate del Paese, cioè proprio fra quei poveri cui il presidente Ahmadinejad si era rivolto all’inizio del suo mandato elettorale.
L’occasione persa è il rifiuto delle proposte avanzate del gruppo dei 5 + 1 (U.S.A., Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia e Germania), dichiaratisi disponibili alla costruzione in Iran di centrali nucleari ad acqua leggera di ultima generazione (utilizzabili quindi per usi civili), con rifornimenti controllati di carburante nucleare. Come se non bastasse, i 5+1 hanno prospettato anche la piena normalizzazione delle re lazioni. Ma tutto questo non è stato sufficiente e il mediatore Javier Solana, Alto Rappresentante della politica estera europea e per l’occasione delegato dell’O.N.U., ha dovuto incassare l’ennesimo rifiuto, dopo che Teheran per ben quattro volte ha ignorato le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza.
L’Iran dunque andrà avanti con il proprio programma di arricchimento dell’uranio, suscettibile di impieghi militari, e ciò turba non poco la comunità internazionale, primo fra tutti Israele. Per gli esperti israeliani della sicurezza non ci sono dubbi: l’intransigenza iraniana è dettata da scopi non pacifici, e lo Stato ebraico in questa situazione è sicuramente l’ obiettivo numero uno. Se tutto ciò fosse vero, l’Iran, dopo il Pakistan, sarebbe la seconda potenza regionale musulmana a disporre dell’arma nucleare. Ma altri Paesi arabi sarebbero concretamente interessati: